I racconti di Paolo Corna: dalla Svezia alla Bassa per alleviare il "lockdown" PARTE 4
Il barianese Paolo Corna, che da 12 anni vive e lavora in Svezia, ha deciso di alleviare il lockdown nella Bassa con i suoi racconti.
Siamo alla quarta delle sei puntate con il racconto di Paolo Corna "Nonostante tutti i giornali avessero lo stesso titolo".
L'autore
Di Paolo Corna, barianese residente in Svezia dal 2008, vi abbiamo già parlato ampiamente in questo articolo, dove chi se la fosse persa potrà trovare anche la prima parte del suo racconto. La seconda parte del medesimo racconto è stata pubblicata invece all’interno di questo articolo, seguita dalla terza e fino ad oggi ultima parte, che potrete recuperare a questo link. Dal termine di quella sezione narrativa prende il via la quarta delle sei sezioni del racconto, che potrete leggere qui di seguito.
"Nonostante tutti i giornali avessero lo stesso titolo" PARTE 4
[...] Nonostante le turbolenze tra Africa e Sud America, Ignacio dormi su per giù 8 ore. La prima cosa che fece al risveglio fu raddrizzare lo schienale del sedile e accendere lo schermo per controllare lo stato del volo: la cartina indicava che erano sopra il Brasile, all’incirca a due ore dall’atterraggio. Fortuna sua, gli servirono la colazione appena sveglio. Dopo averla consumata andò in bagno e, guardandosi allo specchio, notò che sulle guance e sul naso aveva i segni della mascherina: nulla di strano, dato che l’aveva ancora addosso al momento in cui si era addormentato. Passò le ore successive dominato da uno strano stato d’animo, una sorta di poco piacevole ansiosa attesa: da una parte sentiva l’eccitamento del ritorno a casa dopo un mese di assenza; dall’altra non sapeva come le autorità, come il "Sistema" lo avrebbe accolto.
All’inizio ammazzava il tempo giocando a un giochino stupido scaricato sul telefono la sera prima, ma poi decise di guardare un film, nella speranza che questo riuscisse a catturare la sua attenzione al punto di distrarlo totalmente. Dopo vari tentativi falliti, si lasciò intrappolare da “le Mans 66”: un film che raccontava la storica vittoria della Ford sulla Ferrari nella famosa 24 ore di Le Mans. Il film era tra l’altro basato su fatti realmente accaduti. Al momento dell’atterraggio la pellicola stava per finire. Durante I titoli di coda tornò alla realtà cercando di calcolare il tempo di uscita dall’aeroporto: “Atterra, sbarca, prendi le valigie, controllo passaporti, varie ed eventuali... alle 7 dovrei essere fuori. Alle 8 sono a casa”.
Era sabato mattina e in teoria avrebbe potuto riposare tutto il weekend cercando di ripresentarsi in ufficio lunedì in uno stato psico-fisico accettabile nonostante le 5 ore di jet-lag. Ignacio, però, non aveva fatto i conti con il covid-19: non gli entrava in testa, continuava a ragionare e vivere in una diversa realtà. In mezzo alla routine di uno sbarco c’era un test da fare, in mezzo a tale equazione c’era da inserire un termine nuovo: le precauzioni del caso pretese e inserite dal ministro della salute argentina. Di sicuro lunedì non sarebbe tornato in ufficio né tantomeno avrebbe incontrato gli amici la sera stessa, né pranzato dai genitori il giorno dopo. Niente Pasqua con i suoi. La calamita sarebbe arrivata nelle mani di Isabel molto più in là nel tempo. Il futuro era meno chiaro del solito e nelle mani di qualcosa che sfuggiva al controllo umano, anche se l’uomo cercava di controllare la situazione navigando a vista nella burrasca notturna.
L’atterraggio era avvenuto, i guanti e la mascherina indossati. Il personale di bordo aveva ringraziato i pochi passeggeri per aver volato con la loro compagnia: era il momento di abbandonare l’aereo. Fuori dal tunnel tutto era normale e tutto rimase lo stesso sino a quando in prossimità del controllo dei passaporti, prima di ritirare i propri bagagli, un cordone di persone totalmente coperte e isolate da camici, mascherine e guanti erano pronte a testare la gente. Il pilota automatico faceva camminare Ignacio, che nel mentre cercava inutilmente di capire se avesse febbre o qualcos’altro: nulla di tutto ciò.
Quando misero il termometro digitale alla fronte, il risultato fu confortante: 36,4. Niente febbre, ma ciò non bastava. Dietro il primo cordone c’era altro personale che chiedeva documenti e informazioni relative al viaggio: bisognava sapere da dove venivano, se era l’unico volo preso e per quanto erano stati via e tanto altro ancora. Dei 20 arrivati nessuno però aveva la febbre, poiché ovviamente era stata provata anche prima della partenza, prima di entrare al security check, e se qualcuno fosse stato febbricitante sarebbe stato trattenuto là ancor prima di mettere piede sull'aereo.
Lo step successivo, però, fu un’autentica sorpresa: un uomo in camice parlò davanti a tutti i passeggeri e comunicò loro cosa sarebbe accaduto da li in poi. La procedura da seguire, che fino ad allora era sconosciuta ai viaggianti, era la seguente: quarantena per 20 giorni in un albergo adiacente all’aeroporto. Sarebbero stati testati dalle autorità due volte: la prima il giorno stesso e la seconda dopo 15 giorni, in modo da avere entrambi i risultati l’uno a distanza di 15 giorni dall’altro. I test erano effettuati ognuno nelle rispettive camere di albergo.
La quinta parte del racconto verrà pubblicata sabato prossimo.