L’accelerazione digitale, gli affitti alle stelle, il potere d’acquisto dei consumatori che si erode di anno in anno. Tre fattori che hanno cambiato le nostre vite, e che inevitabilmente quindi cambiano anche la fisionomia delle nostre città. Per i centri di riferimento della Bassa bergamasca – Treviglio e Romano di Lombardia – il quadro del commercio locale è addirittura più roseo di quello dei piccoli centri, in molti dei quali ormai semplicemente la rete dei negozi non esiste più. Ne abbiamo parlato con il presidente di Confcommercio (nonché della Camera di Commercio) di Bergamo Giovanni Zambonelli, alla vigilia di un tour che lo vedrà protagonista di una serie di incontri con i commercianti. Obiettivo: raccogliere le voci dei negozi per affrontare le sfide dei prossimi anni insieme.
Presidente, cominciamo dall’attualità: come si è chiusa in provincia di Bergamo l’ultima stagione di saldi estivi? Qual è il «sentiment» generale dei vostri iscritti?
Dopo una partenza positiva, come accade ogni anno, l’effetto dei saldi si è esaurito già nei primi fine settimana. Da metà luglio e per tutto il mese di agosto l’andamento delle vendite è risultato sostanzialmente in linea con quello dell’anno precedente. La presenza di turisti nelle nostre valli ha contribuito a mantenere un livello discreto di acquisti nei negozi, ma il settore rimane in forte difficoltà: per troppe insegne indipendenti la situazione è ormai drammatica. Il commercio deve essere tutelato, altrimenti rischiamo di assistere a una progressiva desertificazione dei centri storici. Ogni giorno, secondo i dati di Federmoda Italia, chiudono definitivamente 18 negozi italiani di abbigliamento, calzature e articoli sportivi. E non si tratta solo delle realtà dei centri più piccoli o periferici: anche nelle città, accanto alle chiusure, si assiste all’espansione quasi esclusiva delle grandi catene.
A Romano di Lombardia il centro storico dal punto di vista commerciale si sta pesantemente spopolando da diversi anni, e sono parecchie le serrande abbassate. Un solo esempio: in centro è rimasto un solo panettiere. I negozi lasciano spazio ai servizi (parrucchieri, patronati, uffici), e il commercio al dettaglio si sposta sull’asse della Soncinese, diventata ormai la «via dello shopping» e delle grandi catene. Non si tratta certo di un trend nuovo, né facilmente modificabile. Come lo valutate e soprattutto come è possibile intervenire?
Il contesto di Romano di Lombardia riflette quello di molti altri centri urbani del nostro territorio e, più in generale, del Nord-Ovest. Da un lato, le abitudini di acquisto dei consumatori sono profondamente cambiate: il tempo è diventato una risorsa sempre più scarsa e preziosa, influenzando gli ecosistemi della spesa quotidiana, un tempo basati sulla mobilità dolce e su ritmi più distesi. Dall’altro, la perdita di potere d’acquisto spinge sempre più persone a privilegiare prodotti in promozione o a prezzi contenuti. In un quadro così complesso, è necessario intervenire con modifiche legislative che non si limitino a incentivare la riapertura dei negozi di vicinato, ma ne garantiscano anche la sostenibilità nel lungo periodo. Servono misure concrete come la possibilità di stipulare contratti di locazione a canone concordato con cedolare secca e l’introduzione di una fiscalità agevolata per i negozi di beni di prima necessità situati nei piccoli centri.
Anche a Treviglio gli ultimi anni sono molte le attività che hanno lasciato il centro storico, e spesso si tratta di negozi di antica data. Uno dei temi più caldi è quello del costo degli affitti commerciali: il mercato immobiliare è alto e risente del fatto che la città è particolarmente ben servita dal punto di vista infrastrutturale, tuttavia per le attività più piccole è diventato troppo caro. Quale ruolo per la vostra associazione di categoria?
Due sono i fattori principali da tenere in considerazione. Il primo riguarda il peso sempre più rilevante dei canoni di locazione. Oggi, per molte categorie merceologiche, questi canoni risultano insostenibili. Finché alla chiusura di un negozio corrisponderà l’ingresso di un’altra attività disposta a pagare lo stesso affitto, il sistema non potrà evolversi. È dunque indispensabile introdurre la cedolare secca per i contratti commerciali a canone concordato, quale misura di riequilibrio strutturale.
Il secondo tema riguarda la crescente importanza dell’accessibilità e della disponibilità di parcheggi per la clientela. Negli ultimi anni, le direttrici di collegamento tra un centro urbano e l’altro hanno guadagnato centralità rispetto alle vie, spesso anguste, dei centri storici, determinando un cambiamento nelle preferenze di localizzazione delle attività commerciali.
L’agglomerato Treviglio-Caravaggio ha visto negli ultimi anni diverse aperture di supermercati, arrivati al numero piuttosto esorbitante di 14, specie lungo l’asse stradale SP42-SS11. La GDO ha inevitabilmente scombussolato gli equilibri, di fatto riducendo di molto le quote di mercato dei piccoli alimentari cittadini: oggi quelli rimasti si contano con le dita di una mano. Per contro, a sopravvivere sono stati i negozi più specializzati e più capaci di differenziarsi rispetto al mercato. Quale ruolo può giocare Confcommercio in questo quadro?
A resistere sono soprattutto quei punti vendita in cui è stato possibile attivare un ricambio generazionale. Le nuove generazioni, infatti, spingono verso processi di innovazione, affiancando spesso alla vendita tradizionale anche strumenti di promozione e canali di vendita online. Per sostenere questa transizione, sono indispensabili due leve: l’accesso al credito per finanziare gli investimenti e la formazione per sviluppare nuove competenze. Su questi aspetti fondamentali devono concentrarsi oggi le associazioni di categoria, se vogliono realmente accompagnare il cambiamento del commercio.
Il (duro) colpo assestato dall’e-commerce ai piccoli negozi è stato ed è un problema. Tuttavia, è indubbiamente diventato anche un’opportunità per chi ha saputo coglierla. Dopo la pandemia, in molti hanno continuato ad offrire servizi di spedizione al cliente. È una strategia vincente? Quali criticità, quali rischi e quali opportunità, secondo voi?
La pandemia ha accelerato i processi digitali legati alla valutazione e all’acquisto da parte dei clienti. Il commercio sta cercando di adattarsi, accompagnando questo cambiamento con un rafforzamento delle vendite online. Tuttavia, il vero punto strategico resta la capacità di attrarre i clienti all’interno del punto vendita fisico. È proprio lì, infatti, che il commercio tradizionale può esprimere il suo valore aggiunto: un’esperienza d’acquisto fatta di atmosfera, servizio personalizzato e relazione umana, elementi che lo distinguono e lo rendono competitivo rispetto al commercio online.
Le vetrine fisiche, le vetrine online. Il marketing. La formazione continua. La comunicazione locale. L’intelligenza artificiale applicata all’analisi delle proprie vendite. Quali strategie consigliate, come associazione di categoria, per migliorare la visibilità delle insegne commerciali?
In generale, la chiave è migliorare l’esperienza d’acquisto del cliente, puntando su un servizio di vendita più efficace e coinvolgente. Il prodotto, pur restando un elemento centrale, può essere venduto attraverso qualsiasi canale. Ciò che davvero fa la differenza è la qualità del servizio offerto: un’assistenza attenta, personalizzata ed eccellente è ciò che fidelizza la clientela e distingue il punto vendita fisico da ogni altra forma di commercio.