Il "mio" Felice Gimondi, campione di umiltà e saggezza IL RITRATTO
La fuga è finita. Felice Gimondi ha alzato le mani per abbracciare il cielo. Il grande campione di Sedrina ha tagliato l’ultimo traguardo di una vita nella quale ha lasciato il segno nel ciclismo, ma anche come uomo. Il ragazzino della Val Brembana, ha imparato sin da piccolo che per riuscire in qualsiasi cosa nella vita bisogna soffrire.
Papà camionista e mamma postina sono state per lui la migliore icona possibile. Chissà quante volte durante la corsa, mentre nella tormenta e nel freddo, scalava quelle salite che non finiscono mai nel Giro d’Italia o al Tour de France o al Giro di Spagna, Felice ha pensato a mamma e papà, ai sacrifici fatti per i figli, e non ha mai mollato. Gentiluomo profondamente onesto, ma duro, tenace e dritto nelle parole e nei pensieri. Gimondi non girava intorno alle questioni, non cercava altre vie, lui andava dritto al nocciolo della questione, anche a costo di passere per uomo rude, ma sempre leale e fedele al suo pensiero, al suo modo di vivere.
Nel ciclismo ha vinto tutto e di più, adesso si snocciola un palmares che invidiano tutti quelli che hanno scelto di fare dello sport del pedale la propria professione. Basta dire che Gimondi è uno dei “magnifici sette” che in carriera ha vinto almeno un Giro d’Italia, un Tour de France e una Vuelta. Felice sta lassù, nel regno dei campionissimi, e ci è arrivato col sacrificio, il sudore, i garretti d’acciaio e soprattutto una lucidità tattica non comune. Gimondi preferiva, lo ha sempre detto, fare “di testa sua”. Sapeva ascoltarsi, sapeva sentirsi dentro, e di conseguenza si muoveva. Una dote che solo i campioni posseggono.
Una volta appesa la bicicletta al chiodo ha saputo ritagliarsi il suo spazio anche come direttore sportivo e presidente dei team, sempre legato a doppio filo con la Bianchi di Treviglio. La mitica bicicletta celeste che fu del campionissimo Coppi e che in Gimondi trovò un degnissimo erede, prima di passare ad un altro grande ciclista che non c’è più: Marco Pantani.
Da molti anni Felice Gimondi era il presidente del Team Bianchi che, accompagnato da altri sponsor, si è dedicato alla mountain bike e al ciclocross. Ai tempi dei trionfi in tutto il mondo del leggendario campione di Sedrina chi vi scrive non era ancora un giornalista e non aveva quindi mai avuto un rapporto personale con lui. Con gli anni le cose sono cambiate e ogni volta che capitava di poterlo intervistare, sempre con quel pizzico di emozione che si ha quando ci si trova al cospetto di un’icona del ciclismo e dello sport come è stato Gimondi, alla fine della chiacchierata scoprivamo la persona, il suo modo di intendere e di capire il mondo, non solo quello delle due ruote. Umiltà e saggezza, questo ti restava dentro dopo che avevi intervistato uno dei più grandi ciclisti della storia. E da quella cultura dello sport e della fatica, capivi come e perché non si è mai piegato, nemmeno di fronte al “cannibale” Eddy Merckx. Rivale e amico che tante vittorie gli ha tolto, ma allo stesso tempo tante vittorie, pungolando il suo fiero orgoglio bergamasco, gli ha ridato.
Valerio Zeccato
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