Fuori Campo

Bruno Cerella: la star del basket di Treviglio si racconta

Bruno Cerella è ben più che uno sportivo. È a suo agio in canotta, certo, ma anche nelle vesti da imprenditore e in quelli da filantropo, oltre che di sex symbol "trevigliese".

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È indiscutibilmente il più famoso e il più fotografato dei cestisti della Blu Basket 1971 Treviglio, arrivato alla corte del patron Stefano Mascio quest’estate, grazie ad un colpo di mercato di quelli che davvero scombinano le carte. Ma Bruno Cerella, classe 1986, è ben più che uno sportivo. È a suo agio in canotta, certo, ma anche nelle vesti da imprenditore e in quelli da filantropo, grazie alla organizzazione di volontariato "Slums Dunk" che gestisce con un’altra vecchia gloria della pallacanestro biancoblù, Tommaso Marino. Soprattutto però - suo malgrado forse, vista la sua inaspettata e simpatica timidezza - gli stanno molto bene i panni da "divo" di Instagram, che racconta e scherza del suo rapporto con i fan (e le fan, tantissime, che lo adorano), del suo rapporto con le donne, dell'infanzia sui campi da basket argentini di Bahia Blanca e di una nuova, sorprendente quotidianità trevigliese. Inauguriamo con lui "Fuori campo", una nuova rubrica mensile  del Giornale di Treviglio - PrimaTreviglio.it dedicata allo sport locale, nella quale racconteremo alcuni dei protagonisti dello sport locale, non solo giocato. In campo e... fuori, appunto.

Bruno Cerella: la video intervista

Bruno Cerella a Treviglio. In parecchi non ci credevano, quando è uscita la notizia del tuo ingaggio, quest’estate. Come ti trovi a Treviglio, dopo tre mesi?

"Molto bene, per il modus operandi della società, l'organizzazione, lo staff... Ci sono molte persone più giovani di me, e questo mi piace. Credo sia un segnale. E poi ho rincontrato Michele Carrea nella mia vita. Non come amico, ma come allenatore, dopo averlo avuto come assistente. Questa scelta di vita mi ha dato tanta forza".

Hai giocato a Milano, a Venezia... centri piuttosto diversi dalla piccola Treviglio. Cosa ti ha colpito della nostra città?

"Non la conoscevo: c'ero stato giusto un paio di volte per vedere giocare Tommy Marino. Vero, sono abituato a vivere in città più grandi. Mi ha colpito per quanto è... piccola. Ma in senso positivo: tutto è a portata di mano. Esco di casa, vado al baretto di sotto a far colazione, e poi vengo al palazzetto in bicicletta quando c'è bel tempo, mi faccio due passi per un gelato. È la serenità... Poi ho trovato molte persone appassionate, anche solo camminando in centro, che ti fermano per fare quattro chiacchiere. E in più quando esco ho quel murales sotto casa: «Siamo ultimi» Ed è fantastico, quello che ha creato quel «pazzo» in quegli anni (il riferimento è a un murales dipinto in viale Oriano e dedicato alla BluBasket, ndr)".

Hai cominciato a giocare giovanissimo: la pallacanestro è la tua vita...

Vengo da una città (Bahia Blanca, a sud di Buenos Aires, ndr) in cui la palla non si calcia: si butta a canestro. Ho cominciato a giocare quando avevo tre anni e mezzo. Abbiamo 25 squadre di basket in città, facciamo campionati interni giovanili, e una storia pazzesca. Sono arrivato in Italia a 18 anni per vivere un'esperienza lontano da casa, responsabilizzarmi, dopo un momento piuttosto delicato nella mia vita, e dopo la separazione dei miei genitori. Loro stessi, e i miei amici, mi hanno aiutato a cogliere questa opportunità, perché io stesso, credo, da solo forse non avrei lasciato la mia zona di comfort. La fidanzata, la macchina, la casa, una famiglia benestante... E invece è stato bellissimo e importante per la mia vita.

Leggi l'intervista completa sul Giornale di Treviglio in edicola oppure QUI

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