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Elezioni Treviglio, centrosinistra: due ragioni (tra le tante) di una sconfitta

Una campagna elettorale dai toni sbagliati, l'ombra di Sorte e il sessismo di sinistra.

Elezioni Treviglio, centrosinistra: due ragioni (tra le tante) di una sconfitta
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"Non potevamo fare meglio" ripetono in tanti, in queste ore, nel centrosinistra, dopo le elezioni comunali che hanno visto sbaragliare completamente la coalizione guidata da Matilde Tura, in favore del sindaco uscente Juri Imeri che per la prima volta nella storia di Treviglio, è stato rieletto al primo turno.

Aritmeticamente,  hanno del tutto ragione. Il centrosinistra di cinque anni fa anni fa, a guida Molteni, si era fermato a 4618 voti, al primo turno, mentre Tura ne ha guadagnati altri 830 circa. Tutto bene? Beh, insomma... Cinque anni fa, a differenza di quest’anno, al primo turno il centrosinistra aveva contro sia Pignatelli che il M5S, entrambi ora confluiti nella grande coalizione di Tura. E c’era anche D’Acchioli, come quarto candidato, anche lui in area centrosinistra. Tutti insieme, presero circa 8000 voti. In politica non si sommano mele e pere, e in cinque anni - va detto - è cambiato tutto. Eppure i numeri dicono che la grande coalizione di Tura non ha sfondato, alle urne, con buona pace delle dichiarazioni di circostanza. Perché?

Prendere il centro

La strategia del centrosinistra era stata dichiarata più volte e aveva due capisaldi. Sul fronte interno, l’obiettivo era inaugurare (finalmente) una nuova stagione che vedesse tutte le anime del progressismo trevigliese sotto un’egida unica, possibilmente senza che litigassero troppo. Sul fronte elettorale, l’obiettivo era invece ampliare il perimetro: convincere i centristi e i moderati trevigliesi che un’alternativa solida e credibile, oltre Imeri, si stava davvero formando. A questo erano funzionali, del resto, sia l’ingresso di Pignatelli nella civica della candidata sindaco, sia il varo di Noi Trevigliesi, a guida di Luigi Minuti.
Il primo obiettivo è stato centrato in pieno, e il merito è stato tutto e solo di Tura. Ci voleva un medico, probabilmente, per guarire il centrosinistra trevigliese dalla micidiale sindrome di Penelope, che ogni cinque anni lo costringeva a disfarsi e a ricostruirsi da capo, in un infinito turbine di simboli e di leader che in una decina d’anni ormai hanno fatto mettere le mani nei capelli a parecchi segretari provinciali del Partito Democratico.

A Treviglio non si urla

Il secondo obiettivo è invece fallito, per due ragioni. Anche se soltanto su una di queste Tura potrà farci qualcosa. Prima ragione: se il punto era convincere i moderati, Tura avrebbe dovuto mostrarsi più moderata di Imeri, che è un professionista di moderatezza. Invece ha condotto una campagna elettorale all’attacco, con toni pesanti e talvolta urlati. Fin dalle primissime settimane, dal video in piazza Setti. Il programma, nella sua comunicazione, è spesso passato in cavalleria diventando una sorta di corollario ad una serrata critica dell’Amministrazione Imeri.

Dai palchi - e sui social, con campagne serratissime - Tura ha galvanizzato i suoi, ha ricostruito una squadra che non esisteva più. Ma non è riuscita, fatalmente, a capitalizzarla in termini elettorali e ad allargare quel perimetro di un solo voto, rispetto a quello dello «storico» centrosinistra. Uno stile che a Treviglio non ha pagato (e sarà un caso se «mister preferenze», quest’anno, è un altro mister moderazione, come Molteni, seguito a ruota da Prandina, che non ha nemmeno un profilo Facebook?).

L'ombra di Sorte e il sessismo di sinistra

Seconda ragione, e qui c’è poco da recriminare: Tura è una donna, e il sessismo esiste anche nell’elettorato di sinistra. La sua relazione con il deputato di «Cambiamo» Alessandro Sorte ha avuto un peso fin dall’inizio, e ha generato più di una diffidenza. Bisogna che ce lo diciamo: i cori «Ciao ciao, bambina», sotto i portici del Comune, urlati durante i festeggiamenti da alcuni sostenitori di Imeri (che si è subito dissociato) sono tanto tristi quanto i pettegolezzi che hanno minato, in casa, la stessa Tura, per tutta la campagna elettorale.

Davide D’Adda

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