La primavera nera della Bergmasca

Inchiesta sui primi giorni della pandemia e quelle 87 verità da trovare

Tre i filoni d'inchiesta: la mancata istituzione della zona rossa in Valseriana, la mancata applicazione del piano pandemico nazionale e la gestione dell'ospedale di Alzano

Inchiesta sui primi giorni della pandemia e quelle 87 verità da trovare
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C'è chi ha perso un genitore, o persino entrambi nel giro di pochi giorni; chi piange un coniuge; chi ha passato settimane in terapia intensiva, per essersi infettato mentre lavorava all'ospedale di Alzano Lombardo. Sono ottantasette le "parti offese" citate nelle trentacinque pagine dell'avviso di conclusione delle indagini della ormai celeberrima inchiesta sulla gestione delle prime ore della pandemia da Covid-19 in provincia di Bergamo. E tra queste, ci sono anche i famigliari di diverse persone della Bassa bergamasca, decedute in quella primavera nera che per una coincidenza sinistra scoppiava proprio in questi giorni d'inizio marzo, tre anni fa.

Diciassette indagati

Gli indagati sono noti: diciassette, in totale, quelli che secondo il pm della Procura di Bergamo Maria Cristina Rota dovranno rispondere a vario titolo, se mai ci sarà un processo, di epidemia colposa aggravata, omicidio colposo plurimo e rifiuto di atti di ufficio. Tra questi anche alcuni nomi illustri: il presidente della Regione Attilio Fontana, l'ex assessore al Welfare Giulio Gallera, ma anche l’ex premier Giuseppe Conte e l’ex ministro Roberto Speranza. Per gli ultimi due, gli atti sono stati trasferiti per competenza al Tribunale dei ministri, che ha già archiviato le accuse.

E poi altri nomi che hanno popolato per mesi le cronache sulla lotta collettiva al Coronavirus: l’allora capo della Protezione Civile Angelo Borrelli, il presidente del Consiglio superiore della sanità Franco Locatelli, il presidente dell'Istituto superiore di Sanità Silvio Brusaferro e l'allora coordinatore del Comitato tecnico scientifico Agostino Miozzo. Politici, scienziati, ma anche dirigenti locali: tra questi l'arcenese Francesco Locati, nato a Treviglio e direttore generale dell’Asst Bergamo Est di Seriate, l'azienda che gestisce l’ospedale "Pesenti-Fenaroli" di Alzano Lombardo, dove il virus si è diffuso facendo esplodere la pandemia nei paesi-martiri della Bassa Val Seriana. E il direttore generale delll'Ats di Bergamo Massimo Giupponi, indagato per falso e per rifiuto di atti d'ufficio.

A vario titolo le contestazioni nei confronti dei 17 politici, scienziati e dirigenti pubblici riguardano tre filoni d’inchiesta, e starà ora alla Magistratura stabilire se l'impianto accusatorio della Procura orobica regga o meno. Un esito, questo, tutt'altro che scontato, e che sta già facendo discutere giuristi ed esperti di tutta Italia. Il primo filone riguarda la mancata istituzione della "zona rossa" ad Alzano e Nembro, nonostante i pareri di diversi enti internazionali (tra cui l’Organizzazione mondiale della sanità) avessero dovuto suggerire il contrario. Il secondo riguarda la mancata applicazione del piano pandemico nazionale. Il terzo, la gestione dell'ospedale di Alzano, e in particolare le ore attorno a quella domenica 23 febbraio 2020 quando fu diagnosticato il primo caso noto della zona, e il Pronto soccorso fu prima chiuso e poi riaperto. Anche se, è ormai sostanzialmente appurato, il virus circolava già da diverse settimane.

La mancata "zona rossa"

È in particolare sulla mancata istituzione della "zona rossa2 di Alzano e Nembro che si è discusso molto, dopo la pubblicazione delle carte dell'inchiesta come del resto tre anni fa. E non c'è chi non ricordi quella prima settimana di incosciente angoscia collettiva, tra il 26/27 febbraio e il 2 marzo, quando all'improvviso sulla Bergamasca scoppiò, del tutto inattesa, la più grave e funesta catastrofe sanitaria e umanitaria da decenni a questa parte. Perché la Bassa Val Seriana non fu chiusa subito, si chiedono i pm, anche se gli indici di trasmissione del contagio erano già ampiamente sopra i limiti? Secondo chi indaga, e secondo la maxi consulenza del microbiologo Andrea Crisanti dell'Università di Padova (oggi senatore del Pd) il nodo fu proprio quello. Fu quell'omissione, secondo chi indaga, una delle cause della diffusione dell'epidemia in Val Seriana: "mediante un incremento stimato non inferiore al contagio di 4148 persone, pari al numero dei decessi in meno che si sarebbero verificati in Provincia di Bergamo (...) rispetto all'eccesso di mortalità registrato in quel periodo, ove fosse stata estesala zona rossa a partire dal 27 febbraio".

Le parti lese della Bassa

Sfogliando le 35 pagine dell'ordinanza spuntano i nomi di 87 persone offese, e molti sono parenti delle "prime" vittime del Covid nella Bassa bergamasca. Tra questi c'è il segretario del Pd di Romano di Lombardia Enrico Dehò, che il 27 marzo 2020 perse il padre Francesco, ricoverato al Policlinico San Marco di Zingonia, a 72 anni. C'è poi un uomo di Martinengo, Diego Federici, che nel giro di sei giorni ha perso sia il padre che la madre: Renato Federici, classe 1947, morì all'ospedale di Romano il 19 marzo 2020. La madre Ida Mattoni, di un anno più anziana, si spense invece il 25 marzo all'ospedale di Treviglio. Tra le altre vittime citate nell'inchiesta, e i cui familiari sono "parti offese2, c'è Giacomo Luigi Ferrari, deceduto a Segrate il 27 marzo e originario di San Gervasio (il figlio è invece residente ad Arcene).

Di Brignano compare il nome di Maria Cristina Magni, che in due settimane dovette dire addio prima al padre Battista Giovanni Magni, classe 1945, deceduto all'ospedale di Romano il 5 marzo, e poi al marito Claudio Polzoni, classe 1973. Poche righe sotto, i pm hanno iscritto nell'inchiesta anche un'altra famiglia di Brignano: quella di Gian Battista Pala, classe 1955, morto all'ospedale di Cinisello Balsamo il 5 aprile. E infine, il figlio di Francesco Paolo Passarelli, verdellese, morto a 71 anni a Treviglio il 14 marzo.

I sanitari contagiati ad Alzano

Oltre ai parenti dei contagiati deceduti ci sono poi diversi sanitari che si sono contagiati presumibilmente sul lavoro, in quei primissimi giorni di emergenza, all’ospedale di Alzano. Per 34 di loro la prognosi fu superiore a 40 giorni, e si indaga nei confronti del presunti responsabili per lesioni colpose. Tra loro compaiono come parti offese anche un 46enne di Palosco, e una 40enne di Urgnano.
Ottantasette persone in tutto: ottantasette storie che chiedono verità e risposte, prima ancora che colpevoli, su quella primavera nera che ha cambiato la vita di tutti, in Bergamasca. Ma che a loro, come a tantissimi altri, ha richiesto un prezzo troppo alto e troppo spietato, per finire, tre anni dopo, nel silenzio.

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