L'analisi dell'Ispra

Consumo di suolo, la Bassa orientale maglia nera in Provincia

La stragrande maggioranza è concentrato nella Bassa orientale, dove sono sorte nel corso degli ultimi mesi almeno cinque grandi logistiche.

Consumo di suolo, la Bassa orientale maglia nera in Provincia
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Nella sola Bassa bergamasca, nel 2020, sono stati consumati 55 ettari di suolo. La stragrande maggioranza è concentrato nella Bassa orientale, dove sono sorte nel corso degli ultimi mesi almeno cinque grandi logistiche: più di 16 ettari sono stati "bruciati" soltanto a Cortenuova, dal centro logistico delle Acciaierie, ma seguono a ruota Covo (8,5 ettari), Ghisalba (5,81) ed Antegnate (4,75 ettari). In fondo alla classifica, ma stavolta con merito, Treviglio. In città sono stati utilizzati soltanto 0,23 ettari nel corso dello scorso anno.

Le mappe sul consumo di suolo

Nelle mappe, l'avanzamento in metri quadrati del cemento nel 2020 e la percentuale di suolo comunale attualmente antropizzato nei Comuni della provincia di Bergamo.

Nella nostra zona in particolare basta un veloce sguardo alla mappa per notare come gran parte del consumo di suolo si evidentemente legato all'arrivo delle grandi infrastrutture Brebemi e Tav: il motore dello sviluppo economico che sta vivendo la Bassa bergamasca hanno un pesantissimo "altro lato della medaglia" proprio nel consumo del suolo, in una zona.

I dati dell'Ispra

Nel 2021 quasi due metri quadrati al secondo di aree agricole e naturali sono stati sostituite da nuovi cantieri, edifici, infrastrutture, raccontano i dati dell'Ispra. Sono parecchi i processi di trasformazione del territorio italiano che continuano a causare la perdita del suolo, una risorsa fondamentale.

L’ottava edizione del rapporto

Il rapporto Ispra analizza l’evoluzione del territorio e del consumo di suolo in un quadro di analisi delle dinamiche delle aree urbane, agricole e naturali attraverso indicatori utili a valutare le caratteristiche e le tendenze del consumo, della crescita urbana e delle trasformazioni del paesaggio. I dati che ne derivano vengono prodotti in scala nazionale, regionale e comunale e confermano la criticità del consumo di suolo nelle zone periurbane e urbane a scapito delle aree agricole e naturali.

Il Covid non rallenta il processo

Il processo non ha visto segni di rallentamento nemmeno nel 2020, nonostante i mesi di stop durante il lockdown. Le conseguenze, però, non sono solo a livello territoriale ma anche economiche, e i “costi nascosti”, dovuti alla crescente impermeabilizzazione e artificializzazione del suolo degli ultimi 8 anni, sono stimati in oltre 3 miliardi di euro l’anno.

Il consumo di suolo in Italia

La maggior densità dei cambiamenti è stata registrata, quest’anno, lungo la fascia costiera entro un chilometro dal mare, nelle aree di pianura, nelle città e nelle zone urbane e periurbane; in particolare in Lombardia, Veneto e nelle pianure del Nord. Il fenomeno rimane intenso anche lungo le coste siciliane e del Salento.

Nell’ultimo anno, le nuove coperture artificiali hanno riguardato altri 56,7 km2 ovvero, più di 15 ettari al giorno, quasi 2 metri quadrati di suolo ogni secondo. Sono 8,2 i chilometri quadrati passati, nell’ultimo anno, da suolo consumato reversibile, a suolo consumato permanente. (A livello nazionale, la copertura artificiale del suolo, è arrivata al 9,15% all’interno del suolo utile (parte di territorio disponibile e idonea ai diversi usi)

Il consumo di suolo nelle regioni

A livello regionale, i valori percentuali più elevati del suolo consumato sono in Lombardia (12,08%), Veneto (11,87%) e Campania (10,39%).
La provincia nella quale il consumo di suolo netto è cresciuto di più ,nel 2020, è quella di Roma con 271 ettari di nuovo suolo artificiale, seguita da Brescia (+214) e Vicenza (+172). Crescite significative, nell’ultimo anno, si riscontrano anche a Verona, Torino, Bari, Padova, Sassari, Lecce, Bergamo, Novara, Foggia, Chieti, Catania, Treviso.

Le uniche province rimaste sotto la soglia del 3% sono Sud Sardegna (2,82%), Belluno (2,81%), Verbano-Cusio-Ossola (2,80%), Bolzano (2,70%), Matera (2,66%), Sondrio (2,64%), Nuoro (2,31%) e Aosta (2,14%). Tra queste ultime sia Belluno (+0,36%) che Matera (+0,44%) crescono in percentuale più della media nazionale (+0,24%).

Il consumo di suolo nei Comuni

Roma, con un incremento di superficie artificiale di 123 ettari, si conferma anche quest’anno il Comune italiano che in termini assoluti più ha trasformato il suo territorio. Il secondo Comune per consumo di suolo del 2020 è Troia (Foggia), con 66 ettari di incremento la cui causa va ricercata nell’ampliamento delle superfici destinate all’installazione di pannelli fotovoltaici a terra, su aree precedentemente agricole. Ha registrato un grande balzo nel consumo di suolo, negli ultimi 12 mesi, anche Ravenna, dove sono stati persi 64 ettari per l’apertura di diversi cantieri e nuove strutture logistiche.

Impatto ambientale

Il consumo di suolo ha contribuito a far diventare sempre più calde le nostre città, con il fenomeno delle isole di calore e la differenza di temperatura estiva tra aree urbane e rurali. Un impatto evidente delle trasformazioni del paesaggio è dato dalla frammentazione del territorio, il processo che genera una riduzione progressiva della superficie degli ambienti naturali e un aumento del loro isolamento.

Prospettive per il futuro

Una valutazione degli scenari di trasformazione futura del territorio italiano, nel caso in cui la velocità di trasformazione dovesse confermarsi pari a quella attuale, porta a stimare il nuovo consumo di suolo in 1.552 kilometri quadrati tra il 2020 e il 2050. Se si dovesse tornare alla velocità media registrata nel periodo 2006-2012, si sfiorerebbero i 3.000 kilometri quadrati.

Sono tutti valori molto lontani dagli obiettivi di sostenibilità dell’Agenda 2030 che, sulla base delle attuali previsioni demografiche, imporrebbero un saldo negativo del consumo di suolo. Considerando i costi annuali medi dovuti alla perdita di servizi ecosistemici, si può stimare, se fosse confermata la velocità media 2012-2020 anche nei prossimi 10 anni, e quindi, la crescita dei valori economici dei servizi ecosistemici persi, un costo cumulato complessivo compreso tra 81,5 e 99,5 miliardi di euro.

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