Bufera sul Gruppo Vitali, sequestro da 50 milioni di euro: l'accusa è di bancarotta fraudolenta
Intanto, su più fronti arrivano le conferme che le opere pubbliche andranno avanti e con queste anche i contratti di lavoro in essere

La Guardia di Finanza ha sequestrato le quote dei fratelli Cristian e Massimo Vitali per circa 50 milioni di euro. Secondo le indagini si servivano di un prestanome di 88 anni e con il denaro della società in crisi pagavano ristoranti e vacanze.
Bufera sul Gruppo Vitali
E' una vera e propria bufera quella che si è abbattuta sulla Vitali Spa di Cisano Bergamasco. Cristian e Massimo Vitali, titolari del colosso dell'edilizia e della lavorazione strade, sono finiti nel mirino della Guardia di Finanza: pesanti le accuse nei loro confronti.
Come riporta Prima Bergamo i militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Bergamo, lo scorso 29 luglio, hanno dato esecuzione a un decreto di sequestro preventivo di tipo impeditivo, emesso dal gip del Tribunale di Bergamo Lucia Graziosi, delle quote societarie possedute dai due fratelli Vitali in altrettante società operanti nel real estate development.
Il provvedimento è volto a evitare che le quote, dal complessivo valore di circa 50 milioni di euro, possano essere indebitamente utilizzate per compiere ulteriori reati inerenti il Codice della crisi d'impresa.
La società intestata a un prestanome
Le indagini delle fiamme gialle hanno accertato il compimento di un’operazione di scissione societaria, volta ad allontanare dalla società in crisi gli asset di valore. In questo modo, la maggior parte dell’attivo, pari a 31 milioni di euro, veniva trasferito a una società neo costituita (in gergo, una good company), lasciando la società in crisi (bad company) - nel frattempo intestata a 88 anni malato di Alzheimer – in una precaria situazione finanziaria, tale da causarne la liquidazione giudiziale.
È su questi elementi che sono nati i primi sospetti del curatore fallimentare Giorgio Dall'Olio; gli stessi che, accentuati dal fatto che quello stesso anziano sembrava già essere passato per altre Procure, hanno portato il pm Guido Schininà, l'aggiunto Maria Cristina Rota e gli uomini del Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf di Bergamo a definirlo un prestanome.
Non solo. L'indagine ha fatto emergere condotte distrattive, con l'utilizzo - da parte dell’amministratore della fallita - del denaro della società per pagare ristoranti, strutture balneari, vacanze e prestazioni professionali. Inoltre, una delle dinamiche oggetto di contestazione riguarda la cessione, da parte di una Spa riconducibile all'ambito familiare dei Vitali, alla società in crisi, di azioni ordinarie di intermediari finanziari. L’operazione - per la quale l’acquirente non aveva in realtà alcun interesse economicamente rilevante - è stata parzialmente pagata mediante l’accollo di circa 22 milioni di euro di debiti che la cedente aveva verso banche.
La difesa: "Creditori pagati, nessun danno"
In una nota, l'avvocato dei due, Filippo Dinacci, ha parlato di "un mero equivoco processuale che quanto prima sarà chiarito. Basti pensare che sono stati soddisfatti tutti i creditori e quindi nessun danno è stato arrecato. Circostanza, questa, verificabile documentalmente". I Vitali, in una nota, hanno invece affermato: "Prendiamo atto con sorpresa e confermiamo la nostra estraneità dalla vicenda. Siamo certi che la questione sarà risolta al più presto".
Le opere in Provincia
Intanto, su più fronti arrivano le conferme che le opere pubbliche andranno avanti e con queste anche i contratti di lavoro in essere. Quello dei Vitali in Bergamasca soprattutto, ma anche in Lombardia è infatti un impero. Gran parte delle principali opere in corso a Bergamo e provincia fanno in capo a loro: Porta Sud (la stazione ferroviaria), l'ex Centro servizi di Azzano, la e-Brt da Bergamo a Verdellino, la Bergamo-Treviglio e il data center ad Arcene per citarne alcune.
Italia Viva chiede trasparenza per la Bergamo-Treviglio
"Di fronte alle notizie di stampa sull’inchiesta che coinvolge il gruppo Vitali, riteniamo doveroso richiamare tutti a un principio fondamentale: il garantismo verso le persone coinvolte nelle indagini - si legge nella nota a firma del presidente Italia Viva Bergamo, Gianmarco Gabrieli - Il garantismo, però, non può essere un alibi per evitare di affrontare i nodi politici ed economici riguardo all’autostrada Bergamo-Treviglio, progetto concepito e redatto da Vita Srl, la società oggi oggetto di indagine. Nel merito, ribadiamo che oggi ancor più di ieri serve la massima trasparenza su quest’opera, che abbiamo da sempre contestato e per la quale abbiamo proposto come alternativa un collegamento di tipo superstradale. A oggi, non esiste alcun business plan, elemento imprescindibile per valutarne la reale utilità e sostenibilità economica. Pretendiamo che si faccia finalmente luce sui costi e benefici reali di quest’opera, che non può essere sostenuta per principio o per convenienza politica, ignorando dati fondamentali. Ricordiamo inoltre che già nei mesi scorsi erano emerse gravi criticità, tanto che gli enti pubblici soci di Autostrade Bergamasche si sono astenuti sull’approvazione del bilancio, denunciando l’opacità e la mancanza di informazioni essenziali sul progetto. La politica ha il dovere di affrontare questi nodi con serietà e senza ipocrisie, oggi più che mai".
I Verdi contro l'autostrada
L'indagine che ha travolto il Gruppo Vitali ha offerto all'Alleanza Verdi e Sinistra l'occasione per ribadire la propria contrarietà alla Bergamo-Treviglio. Il deputato Devis Dori si è rivolto nuovamente a Regione Lombardia perché abbandoni il progetto definito "fallimentare" dell'autostrada Treviglio/Dalmine.

"Non entriamo nelle questioni prettamente giudiziarie delle indagini della Procura di Bergamo che coinvolgono il gruppo Vitali Spa, la cui fondatezza verrà verificata dalla magistratura - ha spiegato Dori - Noi ne facciamo un ragionamento politico: da sempre diciamo che il progetto della Treviglio/Dalmine è insostenibile sia da un punto di vista ambientale sia finanziario e che sta in piedi solo perché la Regione Lombardia ha deciso di sprecare decine di milioni di euro di soldi pubblici in quel progetto che già oggi si evidenzia come fallimentare. Chiediamo quindi che il progetto venga accantonato e che la Regione pensi a destinare quelle risorse per potenziare i collegamenti ferroviari di Bergamo, da sempre al collasso, decisamente più utili per i cittadini. Intestardirsi in un progetto che già oggi si dimostra insostenibile a livello finanziario potrebbe anche esporre la Giunta lombarda a profili di possibile danno erariale".
"Continuiamo a ribadire quanto già espresso nei mesi scorsi: si tratta di un’opera costosa (560 milioni di euro), ambientalmente devastante e socialmente regressiva - ha aggiunto Giuseppe Canducci, co-portavoce provinciale di Europa Verde Bergamo - Attraversa territori fertili, distrugge più di 60 aziende agricole, compromette zone naturalistiche come la Valle del Lupo, e aggiunge altro cemento a una provincia già saturata. Tutto questo per un’opera che sarà anche sottoutilizzata, secondo le stime degli stessi proponenti. I cittadini devono sapere che questa autostrada la pagano loro, prima con i soldi delle loro tasse, poi con un pedaggio, per un'infrastruttura che peggiora il territorio e non risolve alcun problema reale di mobilità".