Si potrebbe pesare che Piamborno, in Val Camonica, non c’entri proprio niente con la Val Seriana. In mezzo ci sono quaranta chilometri di monti: la via più breve scavalla dal Passo della Presolana, 1300 metri. Eppure c’è un filo di spiritualità e di devozione, che corre sopra le Orobie e attraverso le storie di due valli che sono, da sempre, mondi paralleli e separati. Il filo rosso di una fede profonda e radicata nella memoria di un’apparizione, quella della Madonna delle Grazie. Una storia di fede che comincia da lontano: dalla testimonianza di due bambine di Ardesio, due sorelline: Maria e Caterina Salera, che il 23 giugno del 1607 videro comparire la Vergine nella loro abitazione. E che arriva ai giorni nostri: ad un uomo di 74 anni, che di nome fa proprio Ardesio, come quel piccolo e incantevole borgo incastonato nell’Alta Valle Seriana. E che oggi è diventato il protagonista di un film.

Un’apparizione “come tante”
L’apparizione di Ardesio, dicevamo. Suona un po’ irriverente ma tant’è: se ne ricordano tante, fin troppe, in quegli anni. Nell’era in cui montava la Riforma, anche nelle valli bergamasche si sentiva l’eco svizzero della Protesta: le apparizioni del primo Seicento (moltissime sull’arco alpino) e il loro culto prontamente autorizzato servirono alla Chiesa anche per non perdere smalto e credibilità, mentre le nuove idee riformiste galoppavano attraverso i valichi alpini.
Attorno all’apparizione di Ardesio, e alle due sorelline veggenti, si costruì nel giro di pochi anni un santuario che oggi è tra i più belli della Val Seriana. Divenne famoso in poco tempo, già all’epoca. E come spesso accade, lo divenne in modo tutto suo. Oltre che dalla Val Seriana, infatti, alla Vergine delle Grazie di Ardesio si votarono in massa anche molti fedeli bresciani, dalla Val Camonica in particolare.
I pellegrinaggi verso Ardesio, a piedi ovviamente, divennero appuntamenti annuali, che di generazione in generazione non fecero che rafforzare quel legame antico. “Ad Ardesio ci andava mio nonno, ecco perché ci vado anche io” raccontavano i futuri nonni di Piamborno, di Borno o di Darfo Boario, di Esine o di Breno. Nel corso di quattro secoli, il caso è diventato devozione popolare. Che è diventata una tradizione locale, sempre più grande. E dalla tradizione, è nato un miracolo che ha un nome e un cognome: Ardesio Richini.
Ardesio Richini: l’uomo che porta il nome di un intero paese
La sua è una storia come tante, forse. Tutto ciò che racconteremo succede infatti prima che lui nascesse, nel 1951, proprio a Piamborno.
Settantaquattro anni, gli occhi sorridono e la voce tremola un po’ mentre ricorda la storia di come è venuto al mondo. E’ sempre così, del resto: il nostro Natale privato è una storia che in fondo ci sfiora appena, ma ci fa commuovere quando ne parliamo, perché è la storia dei nostri genitori. Di come senza volerlo abbiamo travolto le loro vite di ragazzi, soltanto venendo al mondo.
Ardesio si racconta in un caldo sabato pomeriggio di ottobre, nella piazza del Santuario di Ardesio. A poche decine di metri di distanza, nel cineteatro dell’oratorio, è in corso il Festival Cinematografico Internazionale Sacrae Scenae. L’evento, organizzato da ViviArdesio, Comune e Pro Loco di Ardesio, con la direzione artistica dell’associazione Cinema e Arte e in collaborazione con la Parrocchia, ha portato in valle lungometraggi e cortometraggi firmati da registi provenienti dall’Italia ma anche da Germania e Brasile. Siamo alla sesta edizione e il format ha un che di unico: il tema del festival è la devozione religiosa popolare, raccontata in immagini. Ardesio si schernisce un po’ quando gli si ricorda che un film, quest’anno, parla di lui. “Puer nomine Ardesio”, del bergamasco Paolo Colleoni.
Due bimbi morti in fasce, e un terzo malato
“Da bambino questo mio nome mi dava fastidio, così strano.. Solo crescendo questo nome l’ho amato. Quando ho capito perché me l’hanno dato” ricorda. Poi il ricordo diventa memoria familiare: la voce di racconti passati in casa mille volte, con il tono delle cose importanti.
“Nella mia famiglia nacque un bambino. Bronchite: morì. Poi ne nacque un secondo. Ancora, anche lui morì a poco più di due anni. Nacque il terzo, Luigi. E si ammalo anche lui. “Stava morendo anche lui” racconta Ardesio. Mia mamma mi raccontava che venne il medico, in casa. “Se fosse un pollo, gli tirerei il collo” disse quello. Spietatezze da primo Dopoguerra. Ma lei, una donna che stava per perdere il terzo figlio in pochi anni, decise che non doveva andare così. “Chissà perché, decise di andare a piedi a quella santella che abbiamo in paese, a mezza montagna. La santella della Madonna delle Grazie di Ardesio”. Fece la Novena lì, in quella santella. Strofinava un fazzoletto sull’immagine della Vergine e poi lo riponeva accanto al figlio ammalato. Promise che se il figlio fosse sopravvissuto, allora avrebbe partorito un altro bambino, e l’avrebbe chiamato Ardesio.
La guarigione miracolosa
Andò proprio così. Luigi visse e Ardesio, di lì a poco, sarebbe venuto al mondo: un ex voto vivente, nato per celebrare la vita che trionfa e destinato a portare il ricordo di questo miracolo persino nel proprio nome. “Nelle speranze di mia mamma dovevo essere una femmina: mi avrebbe chiamato Maria Ardesio Richini, e non ci sarebbero stati problemi. Invece… Nacqui maschio. All’inizio il parroco non mi voleva battezzare: non c’era un Santo con questo nome… – continua, citando ancora quelle storie di famiglia che la mamma ricordava spesso – Come si poteva chiamarmi Ardesio? Così si arrivò al compromesso: mi misero davanti un “Mario”. Io, insomma, sarei Mario Ardesio”. Anche se quel “Mario” imposto dal parroco, da subito, fu declassato a mero incidente anagrafico. “Se andate al mio paese e chiedete di Mario Ricchini, non mi conosce nessuno. Ma basta chiedere di Ardesio, e mi conoscono tutti”. Luigi morì a 71 anni, nel 2016. E lui, Ardesio, è qui per portare avanti questa storia di fede. Testimone in carne ed ossa di una devozione popolare tanto radicata da scavalcare secoli e montagne.