Intervista

Quattro chiacchiere con Gio Evan, fenomeno dell’Indie

L'artista ha raccontato il suo ultimo progetto musicale, "Natura Molta".

Quattro chiacchiere con Gio Evan, fenomeno dell’Indie
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Quattro chiacchiere con Gio Evan, fenomeno dell’indie. L’artista ha raccontato il suo ultimo progetto musicale, “Natura Molta”.

Quattro chiacchiere con Gio Evan

Incontro con Gio Evan che ha fatto tappa a Brescia con il nuovo tour, intervistato dai colleghi di BresciaSetteGiorni.it. Il vero nome dell’artista è Giovanni Giancaspro, 31enne pugliese originario di Molfetta. L’11 gennaio scorso è salito sul palco della Latteria Molloy con il suo ultimo disco “Natura Molta”. Pubblicato da 1Day/MarteLabel e distribuito da Artist First, l’album è composto da dieci canzoni e dieci poesie che ne ampliano e potenziano a dismisura il significato; non mancano nemmeno valide collaborazioni come quella con Roberto Dellera, bassista degli Afterhours e Tom Rosenthal, noto cantautore e compositore inglese.

L’intervista

Come sta andando il tour e che tipo di risposta stai ricevendo dal pubblico?

“Fortunatamente sta andando molto bene, è partito con il sold out di Milano e continuiamo a registrare sold out. Non ce l’aspettavamo dato che la poesia vista come una cosa per pochi, intima e di nicchia, invece sta succedendo che le persone stanno riscoprendo questa parte più sensibile ed emotiva, forse le grandi ingiustizie dei nostri tempi ci stanno portando a rimetterci in contatto con i nostri valori interiori. Il pubblico sta dando risposte molto forti e sul palco non c’è poi così distanza, io sento che siamo quasi un tutt’uno”.

Qual è il messaggio fondamentale tra le righe di “Natura Molta”?

“In “Natura Molta” per la prima volta ho preso una parte, mi sono schierato, perchè non l’avevo mai fatto. Attraverso la poesia e la musica avevo sempre cercato di trasmettere un’intelligenza emotiva ma qui per la prima volta ho sentito che dovevo prendere una posizione, a favore dei sentimenti. C’è un messaggio quasi politico, etico, spirituale, c’è la mia parte, quella in cui io, che provengo da un’educazione indiana, che invita a non prendere una posizione ma a restare nel Dharma, adesso più che mai sento la necessità di schierarmi. Mi schiero con i boschi, dichiaro guerra alle imprese forti alle società. Da qui poi partono dei micro mondi, effettuare una scelta necessaria che tuttavia comporta un taglio e da qui c’è la mia “Paura di tutto””.

Il tuo è un linguaggio particolare che attinge molto dalla poesia, tanto che sei diventato quasi un anello di congiunzione tra due generazioni. Come riesce la tua poesia a far breccia nei più giovani?

“Sento di arrivare ai giovani perchè utilizzo un linguaggio a loro conosciuto. Quando ho scritto il mio primo libro “La bella maniera” mi divertivo, mi nascondevo dietro un virtuosismo di parole. A un certo punto però mi sono chiesto se volevo solo nutrire la mia parte egoica oppure volevo arrivare ai sentimenti. Per questo ho iniziato un percorso incredibile nella mia interiorità per scoprire come parla il cuore e ad un certo punto, dopo 8 anni di solitudine in India, ho iniziato a scrivere e ho visto che la gente cominciava a capirmi, stavamo creando un legame. Ho scoperto così che era un linguaggio che stava tornando moderno: non ricordo una poesia così viva come oggi anche nei social. All’inizio sembrava impensabile, tanto che avevo più haters che fan”.

I tuoi testi ci aprono un mondo fatto di bizzarrie, giochi di parole, tanto che alcuni li definscono “surreali” mentre tu preferisci “improbabili”. Ma come possiamo riassumere questa tua “filosofia dell’improbabile”?

“E’ un’attitudine, un’educazione che voglio dare al mondo. Significa interpretare diversamente un’azione che ha dell’ovvio. E’ come rincasare e, senza nessun particolare motivo, entrare dalla finestra. Questa è una cosa che ho imparato dalle scimmie: loro riescono a improvvisare tutto, non sono mai ovvie. Io ho cominciato a metterla in atto attraverso delle piccole cose, per me stesso, perchè ti leva la noia della vita, ti dà una nuova prospettiva, ti educa al pensiero laterale, a guardare la vita e i problemi da un’altra prospettiva. Uscire dal probabile significa affezionarsi all’idea del dettaglio: una piccola rivoluzione per un mondo sempre più spesso vittima di manie di grandezza. Per me però non significa andare controcorrente, contro il flusso: al contrario, è un tornare alla vera corrente, quella della vita, non quella della società. Viaggiare con il vento a favore, usando la spinta della vita è tutta un’altra dimensione”.

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