Il passaggio generazionale rappresenta senza dubbio uno dei momenti più delicati della vita di un’impresa. Stando all’Osservatorio AUB, meno di un terzo delle imprese familiari riesce a superare il secondo passaggio generazionale, e in media solo un’impresa su 10 arriva alla terza generazione.
Quante delle imprese del tessuto economico trevigliese chiudono ogni anno per via di ostacoli di questo tipo? Come è noto, l’ultimo Osservatorio economico della Città di Treviglio, relativo all’anno 2024, ha evidenziato una lieve contrazione della consistenza delle imprese attive, con il passaggio dalle 2.686 del 2023 alle 2.628 unità del quarto trimestre 2024. Se è vero che il settore dei servizi di Treviglio ha fatto segnare una crescita di ben 612 imprese, il calo del comparto artigiano è stato di 15 unità, quello del settore agricolo di 46 unità, quello del commercio di 205 unità, quello della manifattura di 165 unità.
Per molte imprese il momento del passaggio generazionale rappresenta una sfida complessa, talvolta impossibile da superare; come sottolineato dagli esperti di Adami & Associati, società internazionale di head hunting specializzata nella selezione di personale qualificato e nello sviluppo di carriera, se affrontato nel modo giusto quello stesso momento può invece trasformarsi in un’opportunità di crescita, garantendo stabilità, continuità, prospettiva e profitto alle attività nate in ambito familiare.
Al centro deve essere presente, precisano gli head hunter, una visione d’impresa orientata al futuro, poggiata su una cultura aziendale aperta all’innovazione. Si rende quindi necessario mettere da parte la resistenza al cambiamento, così come la paura di cedere il controllo; questo non significa però che il passaggio generazionale debba coincidere con il venire meno dei valori fondamentali dell’azienda. Al contrario, come evidenziato dai consulenti di Adami & Associati, il mantenimento della filosofia aziendale, la comunicazione tra generazioni diverse e i programmi di mentoring sono fondamentali per garantire il successo di questo delicato iter.
Un percorso del genere non può essere improvvisato. Purtroppo, come ricordano gli head hunter, uno studio Deloitte ha dimostrato che solamente il 14% delle imprese familiari possiede un piano di successione formale per la posizione di AD. La consapevolezza di avere a che fare con successori non pronti a gestire l’azienda o senza le competenze necessarie per guidarla in modo efficace può quindi arrivare tardi, compromettendo le possibilità di gestire in modo ottimale il passaggio, con ripercussioni anche sull’aspetto finanziario.
«Nel caso in cui il passaggio a delle risorse interne alla famiglia non risulti immediatamente percorribile, come nel caso in cui sia appurata l’assenza delle competenze e delle esperienze necessarie, non va trascurata l’ipotesi di selezionare dirigenti o manager esterni» spiegano gli head hunter di Adami & Associati «sapendo che una scelta di questo tipo presenta diversi vantaggi: pensiamo al minor coinvolgimento emotivo, alla possibilità di selezionare professionisti con una più ampia gamma di esperienze di leadership, all’opportunità di portare concrete innovazioni». Tutto questo con la possibilità, sottolineano gli head hunter, «di mantenere il ruolo politico della famiglia, per esempio all’interno del board di amministrazione».