Non siamo pesci, volantini sulle auto mentre Salvini è al Palaspirà

L'appello di Luigi Manconi contro le stragi nel Mediterraneo.

Non siamo pesci, volantini sulle auto mentre Salvini è al Palaspirà
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Non siamo pesci, l’appello per l’istituzione di una commissione sulle stragi nel Mediterraneo arriva sulle auto parcheggiate a Spirano, mentre giovedì Matteo Salvini era ospite alla festa della Nazionale della Lega Lombarda al Palaspirà.

Non siamo pesci

Volantini con un pesce e l'hastag #NoiNonSiamoPesci sono comparsi su alcune delle tantissime auto che giovedì sera hanno invaso i parcheggi e le strade di Spirano in occasione dell'arrivo del Ministro dell'Interno Salvini. Un segnale di protesta pacifico partito a livello nazionale, che ignoti hanno voluto dare alle centinaia di persone venute ad acclamare Salvini, per chiedere il rispetto delle leggi e delle convenzioni internazionali, e soprattutto del senso della giustizia per le vite umane.

Il manifesto lanciato da Luigi Manconi

L’obiettivo dell'appello #NonSiamoPesci, presentato il 16 gennaio, è quello di istituire una commissione d’inchiesta parlamentare sulle stragi nel Mediterraneo e realizzare una missione in Libia che ospita centri di detenzione dove si praticano abusi, violenze, stupri, torture. E prima di tutto era nato per chiedere un porto sicuro in Italia alla "Sea Watch 3", l’imbarcazione che ha salvato 47 migranti e lasciata per undici giorni al largo delle coste siciliane, attraccata il 31 gennaio a Catania.
Tra i firmatari si leggono i nomi di Luigi Manconi, Roberto Benigni, Sandro Veronesi, Massimo Cacciari, Gad Lerner, Armando Spataro, Gabriele Muccino, Paolo Virzì, Roberto Saviano.

I messaggi dei migranti

Il titolo del manifesto si ispira ai messaggi inviati dai migranti, e in particolare a quello di Fanny:

"Non siamo pesci": così Fanny, fuggita da un conflitto armato in Congo e per 19 giorni a bordo della nave "Sea Watch".
"Non riuscirò più a parlare tra poco perché sto congelando. Fate presto", così l’ultima telefonata giunta al numero di Alarm Phone dal barcone con circa 100 persone a bordo, al largo di Misurata, domenica scorsa.
"Non ho bisogno di essere sui notiziari, ho bisogno di essere salvato", così l’ultima risposta che uno dei 100 naufraghi lascia ad Alarm Phone.

Il testo del manifesto

La ripetizione di questi "non" porta in superficie quel che una semplice cronaca di quanto avvenuto nel Mar Mediterraneo nel corso delle ultime ore non riesce più a far percepire. I fatti sono questi: qualche giorno fa, in una manciata di ore, hanno perso la vita nelle acque del Mediterraneo 170 tra migranti e profughi. Quarantasette sono stati tratti in salvo dall’organizzazione non governativa Sea Watch e circa 100 sono stati raccolti dal cargo battente bandiera della Sierra Leone e avviati verso il porto di Misurata dove, prevedibilmente, saranno reclusi in uno dei centri di detenzione, legali o illegali, della Libia. Centri dove, secondo i rapporti delle Nazioni Unite e di tutte le agenzie indipendenti, si praticano quotidianamente abusi, violenze, stupri, torture. Intanto, l’imbarcazione Sea Watch 3 è destinata a ripercorrere quel doloroso e drammatico itinerario che già l’ha portata a cercare invano un porto sicuro per ben 19 giorni. Ciò che emerge è il deprezzamento del senso e del valore della vita umana. Sea Watch, va ricordato, è l’unica Ong oggi presente nel Mar Mediterraneo, ormai privo di qualsiasi presidio sanitario, di soccorso e di protezione dei naufraghi. Altro che fattore di attrazione per i flussi migratori, altro che "alleati degli scafisti" o "taxi del mare": le navi umanitarie, le poche rimaste, salvano l’onore di un’Europa che dà il peggio di sé e si mostra incapace persino di provare vergogna.

Le richieste dei firmatari

Vogliamo dare voce a un’opinione pubblica che esiste e che di fronte a una tale tragedia chiede di ripristinare il rispetto delle leggi e delle convenzioni internazionali, e soprattutto del senso della giustizia. A cominciare con il consentire alle navi militari e alle Ong che salvano le vite in mare di poter intervenire. E a chi finge di non conoscere le condizioni di quanti – grazie anche a risorse e mezzi italiani – vengono riportati nei centri di detenzione libici, chiediamo di fare chiarezza sul comportamento e sulle responsabilità della guardia costiera libica. E sulle cause dei più recenti naufragi, come quello che ha causato, in ultimo, la morte di 117 persone, rendendo pubblici documenti, comunicazioni e video relativi. A questo fine chiediamo al Parlamento di istituire una commissione di inchiesta sulle stragi nel Mediterraneo e di realizzare una missione in Libia. Chiediamo inoltre al Governo di offrire un porto sicuro in Italia alla Sea Watch, che sabato scorso ha salvato 47 persone, senza che si ripeta l’odissea vissuta a fine dicembre davanti a Malta. E ricordiamo a tutti gli Stati europei che la redistribuzione dei migranti si fa a terra e non in mare. Non possiamo e non vogliamo essere complici di questa strage.

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