La guerra e l'agricoltura in Lombardia: "Unica via è aumentare la produzione"
Rolfi: "La dipendenza dall'estero soprattutto per mais e girasole, il blocco dell'export di fertilizzanti e di cereali da parte di Russia, Ungheria e Bulgaria, i mancati raccolti in Ucraina e l'assenza di mangimi rischiano di determinare una vera e propria crisi alimentare. Serve un piano strategico per non dipendere dall'estero sulle materie prime".
Dal Taleggio al Quartirolo lombardo, dal Salva cremasco al Provolone della Valpadana passando per il Grana Padano e il Gorgonzola. E poi c'è il cotechino, la mortadella, il salame Cremona e il cacciatore e lo Zampone di Modena. Sono solo alcuni dei prodotti DOP che possono essere trasformati a partire dal latte e dalla carne, soprattutto suina, degli allevamenti della Bassa bergamasca. Al centro di una delle pianure più fertili d'Europa, quella lombarda, che genera ogni anno un plusvalore in termini di reddito pari due miliardi di euro, la Bassa è ancora radicalmente, nonostante tutto, una terra agricola fino al midollo. Eppure, l'anima contadina dei nostri paesi e delle nostre città, da anni, sta attraversando una crisi profonda e violenta.
Così l'agricoltura si reinventa, a fatica
Fiaccato dalle grandi produzioni estensive extra-UE, questo fondamentale segmento dell'economia locale sta cercando da anni di reinventarsi riscoprendo le sue radici fatte di eccellenza e di «made in Italy». Ma il percorso per affermarsi e per ritrovare una redditualità sufficiente a mantenere in vita la filiera "erede" della poverissima ma laboriosa e dignitosa Civiltà contadina non è affatto semplice. Come ci si può riuscire? In occasione della 39esima Fiera agricola in corso a Treviglio, ne abbiamo parlato con l'assessore regionale all'Agricoltura e ai Sistemi verdi Fabio Rolfi. Secondo il quale, la chiave è in un cassetto apparentemente lontano anni luce da quello tipico dell'impresa agricola: quello della comunicazione.
Qualità e comunicazione dell'eccellenza
La Regione Lombardia ha stanziato, nell'ambito del Programma di sviluppo rurale, 1,6 milioni di euro dedicati a progetti di informazione e promozione di questi prodotti e di queste produzioni, tutelate da sistemi di qualità riconosciuti a livello comunitario o nazionale.
Il bando era rivolto a consorzi o associazioni di prodotti biologici, Consorzi di tutela dei prodotti e dei vini DOP e IGP, Associazione di produttori di «Sistema di Qualità Nazionale zootecnica». Soltanto per i due consorzi caseari che raccolgono anche decine di produttori della Bassa, le cifre sono considerevoli: il Consorzio per la tutela del formaggio Grana Padano ha incassato 238mila euro; il Consorzio tutela Taleggio circa 200mila.
La strada tuttavia resta in salita e a complicare enormemente le cose ci si è messa la geopolitica. Il rincaro esagerato dei prezzi dell’energia, dei carburanti, e dei prodotti chimici non aiuta affatto la ripartenza.
Intervista all'assessore regionale Fabio Rolfi
Assessore, qual è secondo lei, tra le tante, la sfida più importante per salvare e potenziare il patrimonio agricolo della Lombardia? E quale la minaccia più grave a questo sistema?
La sfida più importante è quella per la comunicazione. In un’epoca di forti cambiamenti di consumo, di rincari delle materie prime e di incertezza internazionale diventa fondamentale comunicare in maniera efficace la qualità e la sicurezza alimentare dei nostri prodotti. Un valore aggiunto riconosciuto nel mondo, sul quale dobbiamo puntare anche per garantire redditività alle aziende agricole e a tutti gli attori della filiera.
La minaccia? Dobbiamo difendere i nostri prodotti da una certa visione ideologica anti impresa che purtroppo trova sponda a Bruxelles. A volte dalla commissione europea arrivano proposte fuori da ogni logica che mirano a danneggiare l’agricoltura e la zootecnia italiane in favore dei modelli produttivi del Nord Europa. Penalizzare i nostri allevamenti e le nostre aziende agricole significa danneggiare la produzione e quindi la nostra economia. Per questo la Regione Lombardia si metterà sempre di traverso, nell’ottica di tutelare il lavoro del settore agroalimentare.
La crisi ucraina e le sue conseguenze economiche mondiali mostra in modo plastico come la produzione di cibo non sia affatto «scontata», nel terzo millennio. Neppure nel cuore d'Europa. Quali ricadute sui prezzi dei cereali per il mercato italiano? Quali opportunità per le aziende della Pianura padana di riempire il vuoto lasciato dall'import ucraino e russo?
La dipendenza dall'estero soprattutto per mais e girasole, il blocco dell'export di fertilizzanti e di cereali da parte di Russia, Ungheria e Bulgaria, i mancati raccolti in Ucraina e l'assenza di mangimi rischiano di determinare una vera e propria crisi alimentare. Serve un piano strategico per non dipendere dall'estero sulle materie prime. L'unico modo è aumentare la produzione, mettendo al centro ricerca e scienza. Le visioni ideologiche degli ultimi anni ci portano a scontare un ritardo sui competitor internazionali, anche sotto il profilo della ricerca genetica e dei fertilizzanti. Con l'innovazione e l'agricoltura 4.0 siamo in grado di produrre in maniera sostenibile. Altrimenti saremo sempre perdenti contro potenze mondiali come la Cina che stanno acquistando gran parte delle scorte mondiali di materie prime e continuano a produrre senza limiti di carattere ambientale. Per questo nel futuro si aprono nuove e importanti sfide per le nostre imprese agricole.
Possiamo ancora permetterci di lasciare i terreni «a riposo»? Da più parti, con varie sfumature, dal settore primario della nostra zona arrivano richieste per «forzare la mano» alle regole in vigore per incentivare la produzione di materie prime in una situazione di grave emergenza internazionale ma anche locale (non piove da mesi).
Avevamo chiesto alla Ue lo sblocco dei campi lasciati a riposo e l'abbiamo ottenuto. Questo consentirà di recuperare in Lombardia migliaia di ettari di raccolto. Ora però c'è urgenza estrema di liquidità alle aziende. La priorità è quella. Per salvarle dal fallimento dobbiamo sospendere l'entrata in vigore del green deal prevista per il 2023. La sostenibilità è importante, ma ora dobbiamo produrre cibo e garantire approvvigionamento delle materie prime. Abbiamo proposto all'Europa, chiedendo sostegno anche al governo, di trasformare gli interventi del Piano di sviluppo rurale in iniezioni dirette di liquidità alle aziende. Un imprenditore non può investire se la sua azienda non sopravvive e quest'anno la priorità è passare la crisi indenni.
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