C’è ancora tanta strada da fare. Il rapporto tra i generi nel mondo del lavoro vive ancora una forte disparità con le donne ancora svantaggiate da guadagni più bassi, da maggiori difficoltà a raggiungere livelli apicali e da una società che ancora le dipinge come principali responsabili della cura familiare.
Gender gas, Bergamo ancora “maglia nera”
Anche per il 2025 Bergamo è “maglia nera”. Un primato che fatica ad abbandonare, come testimoniano i numeri dello studio dell’Università di Brescia condotto attraverso un’inchiesta che ha coinvolto 8351 imprese lombarde e quasi 4milioni e mezzo
di occupati.
L’analisi evidenzia la persistenza, anche in Lombardia, di una serie di significativi divari di genere a partire da quello nel tasso di occupazione, molto più elevato per gli uomini che per le donne. A Bergamo, ad esempio, è tra i più bassi dell’intera Lombardia. Nelle categoria protette, le province che impiegano una quota minore di donne sono Bergamo (38,8%) e Brescia (37,8%), con una media regionale del 45%; nelle provincia di Bergamo, nella categoria degli operai, la percentuale maschile rappresenta la quasi o la totalità
dei contratti a tempo indeterminato.
Le donne guadagnano meno
Non solo. Le lavoratrici lombarde occupate in aziende sopra i 50 dipendenti soffrono ancora di un importante gap salariale nei confronti dei colleghi. L’analisi prende in considerazione anche altri indicatori che segnalano, purtroppo, tutta una serie di ulteriori criticità e che confermano la necessità di ampliare e rafforzare tutte le possibili azioni volte a sostenere il lavoro delle donne e a colmare i divari che le colpiscono. Nell’indagine si evidenzia con forza la persistenza di ruoli stereotipati: il ricorso massiccio al part-time da parte delle donne, contrapposto alla più bassa incidenza maschile, e la scarsa presenza femminile nelle posizioni apicali.
Per quanto riguarda il gender pay gap, a livello impiegatizio, nella provincia di Bergamo, la differenza tra colleghi maschi e colleghe femmine sulle componenti accessorie raggiunge il 47,6%, seconda solo a quella di Sondrio. In generale, le province più inique secondo il gender pay gap: Sondrio (22,1%), Lecco (21,9%), Bergamo (20,8%), Milano (20,5%).
Nell’analisi degli strumenti finalizzati alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, la flessibilità oraria si conferma lo strumento più frequentemente adottato dalle imprese in tutte le province lombarde, con valori generalmente allineati alla media regionale del 74,3%. A Bergamo trova applicazione solo nel 38,6% delle aziende, e anche per quanto riguarda i congedi e i permessi ulteriori rispetto a quelli obbligatori, la provincia orobica si classifica agli ultimi posti tra i territori lombardi. L’utilizzo della banca ore a Bergamo arriva al 22,7% delle industrie intervistate, contro il 28% della media regionale.
Nieri (Cisl): “E’ un problema strutturale”
“Ancora nel 2025, la differenza salariale tra uomini e donne in Italia resta un tema critico e persistente, in particolar modo a Bergamo: nonostante gli sforzi politici e sociali per colmare il divario, i segnali di cambiamento restano ancora troppo lenti – dice Luca Nieri, segretario provinciale di Cisl Bergamo – Il problema non è solo quantitativo ma anche strutturale. Purtroppo, le donne, pur essendo sempre più presenti in percorsi formativi e scolastici, faticano ad accedere a ruoli apicali; inoltre sono ancora troppo condizionate da part-time, non sempre scelto, ma imposto da situazioni familiari o da contesti lavorativi poco flessibili. Serve superare molti fattori culturali, come le aspettative delle donne sul ruolo del caregiver, che si manifesta in disponibilità ad accettare ruoli meno remunerati e di responsabilità o con orari flessibili stabili e modelli organizzativi rigidi. La contrattazione aziendale e la formazione possono fare molto, creando una cultura più inclusiva che valorizzi le donne e contrattando elementi che aiutino a superare i limiti che oggi esistono”.
Verso la parità di genere
“A Bergamo – continua il sindacalista di via Carnovali – alla fine del 2024 c’è stato un importante sforzo nel condividere un documento a livello provinciale da Cgil, Cisl e Uil con Confindustria sulle linee guida per l’implementazione dell’occupazione di giovani e donne, ma ora dobbiamo manifestare una volontà concreta che affronta e supera questi problemi, in una logica di un umanesimo del lavoro costruito sulla caratteristiche delle persone. Dobbiamo partire dalla trasparenza salariale e fornire i criteri chiari per la determinazione delle retribuzioni, in particolare sulla parte accessoria. Le aziende potrebbero adottare la certificazione per la parità di genere, un attestazione volontaria per dimostrare di adottare politiche retributive trasparenti, eque e senza discriminazioni, ma anche modificare aspetti organizzativi adatti a superare queste barriere”.
Caregiver, a sacrificarsi sono spesso le donne
Un altro aspetto che evidenzia le difficoltà femminili nella carriera lavorativa in provincia di Bergamo lo disegnano i dati che Inas Cisl ha elaborato su congedi parentali e legge 104. Su poco meno di 3000 pratiche aperte nell’ultimo anno per i congedi di maternità, 2871 sono a carico delle madri, 103 dei padri. Il panorama non cambia per il congedo parentale a giorni: 1568 le domande accolte per le donne, 621 quelle per gli uomini. Nei permessi a ore, 111 concessi alle madri, 34 ai padri. Nell’ultimo anno, infine, Inas Cisl Bergamo ha portato a termine 7844 pratiche relative ai permessi legati alla legge 104: 4119 sono state presentate da lavoratrici, 3725 da lavoratori.
“Anche qui – conclude Nieri – si evince come l’aspetto salariale condiziona la scelta di chi deve richiedere il congedo, spesso la scelta ricade su chi ha la retribuzione più bassa”.