"C'era una volta San Siro": il calcio nei ricordi e nelle parole di Gianfelice Facchetti
Il futuro del Meazza nel libro di Gianfelice Facchetti intitolato «C’era una volta San Siro - Vita, calci e miracoli» (Edizioni Piemme).
La pandemia da Covid-19 ha svuotato gli stadi, in Italia come nel resto del mondo, privando il calcio di quella magia, quell’alchimia che solo decine di migliaia di persone, unite in una comune fede calcistica, sanno trasmettere e far vivere. Dove? All’interno di quei «catini» che con gli anni sono assurti al rango di veri e propri templi calcistici per i tifosi delle squadre che ci giocano.
"C'era una volta San Siro"
Uno di questi templi è senza dubbio lo stadio Giuseppe Meazza in San Siro, inaugurato nel 1926, e che per quasi un secolo ha visto le gesta dei più grandi campioni italiani e stranieri, vissuto le epopee vincenti di Inter e Milan, le due maggiori società meneghine, ma non solo. Perché a consegnare lo stadio alla sua (giusta) leggenda hanno contribuito le centinaia di migliaia di persone che l’hanno vissuto, domenica dopo domenica e nei giorni delle Coppe infrasettimanali, lo hanno «reso vivo» e fatto (letteralmente) vibrare di gioia dopo un gol.
A tu per tu con Gianfelice Facchetti
Il futuro della «Scala del calcio» oggi, però, appare nebuloso: forte è il dibattito tra chi lo vorrebbe abbattere per costruirne vicino uno più «funzionale» alle ambizioni - anche economiche - dei due club e chi teme che senza il «Meazza» svanisca anche quella magia che alle sue scalee è legata imperituramente. Riflessioni dalle quali Gianfelice Facchetti, 46 anni, è partito per scrivere il suo ultimo libro «C’era una volta San Siro - Vita, calci e miracoli» (Edizioni Piemme), uscito ad aprile di quest’anno. Lo abbiamo intervistato.
Facchetti com’è nata l’idea di scrivere questo libro?
«L’idea è venuta lo scorso anno, con la Piemme e Mondadori. Lo stadio era deserto e senza pubblico e c’era sullo sfondo l’ipotesi di un futuro abbattimento. Ci siamo detti: facciamogli raccontare ciò che ha visto nei suoi quasi 100 anni di... vita. Ho seguito le partite in Tv poi una volta sono tornato allo stadio, quando c’era la possibilità, con un invito. L’impressione che ho avuto è stata... strana, senza ritrovare le persone che conoscevo, è stato come aver già visto tutto e la partita è passata in secondo piano. Mi sono così buttato a scrivere un omaggio storico-sociale su San Siro: da tifoso, in parte, ma facendo un passo in più, esaltando lo stadio come “contenitore sociale” con il Milan primo padrone di casa, sino all’Atalanta che ci ha giocato in Champions League. Senza dimenticare tutti i campioni che ne hanno calcato l’erba».
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