La testimonianza

"Quel groppo in gola guardando il mare azzurro di Lampedusa..."

Tra i volontari c'è anche il caravaggino Paolo Augello, 67 anni, cuoco in pensione con alle spalle anni di esperienza nella ristorazione

"Quel groppo in gola guardando il mare azzurro di Lampedusa..."
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In missione per aiutare i tanti migranti che ogni giorno sbarcano a Lampedusa dopo aver attraversato quella lingua di mare che separa l’Africa dall’Europa - dall’Italia in questo caso – con esiti ancora troppo spesso tragici. In prima linea ci sono i volontari della Croce rossa che, riempite le loro valigie con tanta voglia aiutare e di portare sorrisi a chi soffre, raggiungono l’Hotspot di Lampedusa portandosi nel cuore la ricchezza di una nuova esperienza profondamente umana.

Paolo, in prima linea con la Croce rossa

Arrivano a Lampedusa con il cuore già gonfio e subito via a rimboccarsi le maniche. Tra i volontari c'è anche il caravaggino Paolo Augello, 67 anni, cuoco in pensione con alle spalle anni di esperienza nella ristorazione. Lui, da buon siciliano, con un dna impastato anche dei tanti detti della sua terra, fra tutti ha scelto quello che dice "È megghiu dari ca diri", è una specie di bussola che gli indica la via da seguire che è sempre: "se puoi fare qualcosa falla senza perderti in chiacchiere".

"Chi arrivando sull'isola sorvola il mare che la circonda sente un groppo alla gola - ha raccontato dopo essere rientrato dalla terza missione che l’ha portato a Lampedusa dal 5 al 12 aprile scorso - Si fa fatica a respingere le lacrime che spontaneamente si affollano negli occhi, non si può fare a meno di sovrapporre la vista di quel mare azzurro con le immagini di tanta gente che proprio in quel tratto di mare ha dovuto perdere la vita".

Paolo, che ha frequentato il corso Opem, che consiste nella formazione di base per tutti gli interessati a svolgere attività nell'ambito di Protezione Civile, è già pronto a ripartire probabilmente già a giugno.

"Le missioni a Lampedusa hanno fatto vivere esperienze uniche ai volontari e li hanno resi orgogliosi di appartenere alla Croce Rossa – prosegue nel racconto – Nulla viene lasciato al caso nelle attività connesse alla prima assistenza e accoglienza delle persone migranti. Tutto è stato pensato per il perfetto funzionamento dell'Hotspot, dallo sbarco, all'imbarco per Porto Empedocle da dove proseguiranno per le destinazioni assegnate".

L'Hotpost di Lampedusa

I migranti arrivano ogni giorno al molo Favarolo e vengono subito presi in carico dal Ministero dell’Interno. Dopo le prime schedature ricevono l’assistenza di associazioni come Save the children e dalla Croce rossa un braccialetto e un tesserino identificativo. I controlli proseguono nell’Hotspot: foto e impronte per l’Interpol, dopodiché ricevono il kit di accoglienza che contiene nuovi indumenti, materiale per l'igiene e l'indicazione dell'alloggio. Insieme vengono forniti anche tre pasti: colazione, pranzo e cena, preparati seguendo le procedure della Croce rossa.

Ad aprile c’era il Ramadan - ha spiegato Paolo - per la prima volta ho visto che gli osservanti potevano richiedere il pasto completo la sera e inoltre nel sacchetto venivano dati datteri e frutta fresca, cibi che potessero rispondere meglio anche alle abitudini e alle usanze degli ospiti. E’ stato un gesto molto apprezzato e inclusivo: ricordiamoci che la Croce Rossa è simbolo di neutralità, per la quale tutti sono uguali e tutti vanno rispettati e aiutati. Il rapporto con il cibo rappresenta spesso un elemento fondamentale nella rielaborazione del distacco, della perdita di legami e del contesto sociale di riferimento - ha aggiunto - Pertanto, nel curare questa attività si dovrebbe tendere al rispetto delle tradizioni culturali e religiose delle persone accolte e delle eventuali esigenze connesse al loro stato di salute".

I sorrisi ripagano la fatica

All’Hotspot, che può ospitare mille persone, la situazione è tranquilla.

"Ad aprile non c’era nessuna emergenza: arrivavano circa 400-500 persone al giorno e altrettante partivano per Porto Empedolce e le loro destinazioni. E’ un meccanismo che ormai funziona molto bene, il problema subentra solo quando si arriva ad avere migliaia di ospiti in più di quelli che si potrebbero accogliere".

Ma aiutare chi è in difficoltà resta l’unica cosa che conta per un volontario.

"Noi offriamo supporto ma loro ci danno molto di più: vedi i loro visi quando sbarcano dopo anche tre-quattro giorni di traversata in condizioni più o meno complicate, sono segnati dalla stanchezza, dalla paura - ha raccontato Paolo - Poi li vedi il giorno dopo quando ripartono per Porto Empedocle, più sereni e sicuri perché sanno che il peggio ormai è passato".

Il peggio l’hanno lasciato alle spalle, tra le onde del mare, quel mare che non sempre è amico e che tanti se li è portati con sé.

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