La morte di Stefano Iacobone e quel guard rail "killer" in via Bergamo: la famiglia chiede giustizia
Due anni fa l'incidente mortale lungo la SS42. La perizia dei tecnici sull'"effetto lancia" che l'ha ucciso
Se quel guard rail in via Bergamo fosse stato a norma, probabilmente Stefano Iacobone sarebbe ancora vivo. Sono passati quasi due anni da quel terribile incidente stradale lungo la ex Statale 42 a Treviglio, nel quale il nuotatore 32enne morì trafitto dalla lamina d’acciaio che costeggia il lungo rettilineo appena fuori dal centro abitato. E ora la famiglia chiede giustizia, per quello che sulla base degli accertamenti tecnici ordinati dal Pm del Tribunale di Bergamo sembrerebbe essere un fatale errore di progettazione della pista ciclabile.
Il tragico incidente di due anni fa
Erano le 2.15 di notte del 22 marzo 2019. Stefano, un giovane atleta della squadra di nuoto trevigliese, stava tornando a casa, dopo il turno di lavoro serale in un ristorante di Bergamo, il "Bacco Matto". Il destino, con lui, è stato davvero spietato. Stefano era sobrio e non aveva assunto alcuna droga, accerteranno gli esami. La visibilità ottima, il fondo stradale perfetto. A tradirlo fu semplice un colpo di sonno e un presunto errore di progettazione di un guard rail. Dopo il lungo rettilineo che scende a Treviglio da Arcene, l'auto sbandò infatti sulla sinistra, invase la corsia opposta e poi si schiantò contro quel terminale d'acciaio di protezione della pista ciclabile, che oggi si trova nei pressi della nuova rotatoria di via Da Verrazzano, all’epoca ancora in costruzione. Viaggiava a meno di cinquanta all’ora, ma tanto bastò. Il guard rail si insinuò nel vano motore, e da lì nel cruscotto e poi nell’abitacolo, trafiggendo a morte il conducente. All’arrivo dei soccorritori non rimase molto da fare se non dichiarare il decesso.
L'auto sul luogo dell'incidente
La lamina del guard rail penetrata nel cruscotto
Il vano motore trafitto dal guar rail
Il luogo dell'incidente, visto dalla prospettiva del conducente che stava tornando a Treviglio da Bergamo
Un terminale "tubolare" simile a quello che ha ucciso Stefano
“Colpa del guard rail non a norma”
Secondo i familiari, e secondo una dettagliata relazione del Consulente tecnico del Pm che ha indagato sull'incidente, quel guard-rail installato non era a norma: avrebbe dovuto essere impiegato un terminale diverso, adatto ad assorbire l'energia di eventuali incidenti senza causare quello che tecnicamente viene definito "effetto lancia", e che per Stefano è stato fatale.
"Si ritiene che la causa delle lesioni che hanno determinato il decesso sia da ricondurre alla mancanza di un'adeguata progettazione del sistema di ritenuta, che prevedesse una scelta ragionata, opportuna e motivata della barriera stradale e in particolare dei suoi terminali, così come richiesto dalla normativa" spiega la relazione tecnica dell'ingegnere Paolo Panzeri, consulente del Pm Antonio Pansa nel procedimento penale aperto sulla vicenda. "Il nesso causale tra la violazione della norma e la morte appare evidente" conclude.
Ora la famiglia chiede giustizia
Stefano viveva a Treviglio da alcuni anni, ma era originario di Cornaredo, nel Milanese. Lì vive ancora la sua famiglia, che ora chiede giustizia. Il fratello e il papà. La mamma è mancata dopo pochi mesi: “Non ha retto il colpo” raccontano Davide e Antonio Iacobone. “Quella notte siamo stati contattati personalmente nella notte dai carabinieri di Cornaredo e siamo corsi subito a Treviglio – ricordano - Da subito la polizia stessa ci consiglia di aprire delle indagini in quanto anche ai loro occhi sembrava palese l’irregolarità di quel tratto di strada (tra l’altro appena realizzato)”.
Da qui la causa, che vede iscritti nel Registro degli indagati quattro persone legate a vario titolo alla realizzazione della ciclabile.
“Alla causa adesso si è aggiunta anche l’associazione vittime della strada che proverà a darci supporto durante il processo penale. Purtroppo, dati i tempi legali italiani, la prima possibile data di processo sarà a novembre 2021 e ci avvicineremo già al terzo anno dalla morte di Stefano, senza che nessuno si sia mai assunto una parte di colpa o abbia avuto il coraggio di provare a chiedere semplicemente scusa”.
“Ormai ciò che possiamo fare io e mio padre è lottare perché la giustizia faccia il suo compito in egual modo con tutti. Più di una vita è stata spezzata nello stesso modo di Stefano e trovo assurdo morire per un qualcosa che avrebbe invece la funzione di proteggerci e renderci sicuro. Ma trovo ancora più assurdo che gli enti coinvolti abbiano peccato di una tale negligenza da uccidere qualcuno” ha concluso il fratello.
Leggi di più sul Giornale di Treviglio in edicola da venerdì prossimo, 26 febbraio 2021