Imprese funebri ko: il punto nella Bassa
"Una donna mi ha chiesto se quello che seppellivo fosse davvero suo marito. Non lo aveva più visto, da dopo la morte".
La misura del disastro si vede anche dalle piccole cose. Piccole prassi legate al lutto, come i manifesti funebri cui passiamo spesso accanto senza quasi notarli. In questi giorni sono decine più del solito. Uno sopra l’altro, strappati, attaccati dove si può. E’ impressionante, l’impennata di decessi avvenuti anche nella Bassa bergamasca in queste settimane di emergenza. I morti «reali» sono di gran lunga più numerosi di quelli certificati dai tamponi, come del resto si sono accorti bene quasi tutti gli operatori delle pompe funebri della zona. Che anche in pianura, come a Bergamo ormai da alcuni giorni, cominciano a fare i conti ormai con l’assenza di spazi negli obitori degli ospedali e dei cimiteri.
Romano è una delle città più colpite: 60 morti in un mese
A Romano, l'Amministrazione comunale già settimana scorsa aveva emesso un'ordinanza con la quale ha autorizzato la creazione di trenta loculi provvisori dove tumulare le salme in attesa di cremazione. Trenta posti che sono stati riempiti subito. Erano una quarantina i decessi registrati in città solo dall’inizio del mese, alla fine della scorsa settimana. All'inizio di questa, siamo a 60. Nel marzo 2019 i decessi in città erano stati 16, secondo l'Istat.
Enrico Lamera, delle pompe funebri «San Raffaele», traccia un quadro disarmante. "E' una situazione a cui stento a credere - confessa - il numero di decessi nei primi tre mesi di quest’anno è aumentato esponenzialmente, soprattutto nelle ultime due settimane". Ci si mette anche la burocrazia, ad allungare i tempi e lo strazio. Le agenzie funebri hanno un automezzo dedicato al trasporto delle salme ma prima di compiere la traslazione devono compiere un iter burocratico complesso. «Purtroppo la situazione è davvero difficile – ha detto – Gli ospedali fanno pressione per liberare le sale dalle salme, ma senza permessi non è possibile farlo. La pandemia e l'alto tasso di mortalità hanno reso difficoltosa la gestione di tutti i corpi, e spesso i nervi saltano. La pressione psicologica più forte per un operatore di pompe funebri in questa emergenza è il fatto di non poter aiutare tutti ed essere costretti a dire “No” a persone conosciute che chiedono aiuto per i propri cari".
La situazione è grave anche nella Geradadda
"È una guerra, siamo stanchi e abbiamo paura - spiegano gli “Eredi Moleri”, impresa funebre di Fara d’Adda - Stiamo finendo i dispositivi di sicurezza, soprattutto le mascherine, e se non ne avremo rifiuteremo il lavoro: dobbiamo proteggere noi e i nostri dipendenti. Organizziamo il servizio solo via telefono e internet, le persone le incontriamo solo al cimitero. E’ davvero brutto: una donna mi ha chiesto se quello che seppellivo era davvero suo marito. Non lo aveva più visto da quando era morto".
Leggi di più sul Giornale di Treviglio - RomanoWeek in edicola, oppure sullo sfogliabile online QUI