Treviglio

Imeri e il 25 aprile che punzecchia i putiniani nostrani

La guerra in Ucraina e i profughi in città. Il dibattito sulla Resistenza e la liberazione, 77 anni dopo.

Imeri e il 25 aprile che punzecchia i putiniani nostrani
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"Se la storia ci avesse insegnato qualcosa non ci sarebbero punti di vista diversi rispetto agli aggressori".  Un discorso appassionato e meno morbido del solito quello pronunciato questa mattina, lunedì 25 aprile, in occasione dell'Anniversario della Liberazione, dal sindaco di Treviglio Juri Imeri. Che riprendendo, pur senza citarle direttamente,  le polemiche dei giorni scorsi sulla posizione ambigua dell'Associazione dei partigiani d'Italia in merito alla guerra in Ucraina, è tornato sul tema della Resistenza di ieri (e a proposito, a Brignano oggi pomeriggio si terrà una conferenza in merito) e di oggi.

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Liberazione a Treviglio, il discorso del sindaco

Imeri ha preso le mosse nel suo discorso dalla storia di Piero Corte, piemontese, che nei giorni scorsi ha raccontato a Mario Calabresi il “suo” 25 aprile, chiacchierando per il podcast “Altre storie”.  Corte fu una staffetta partigiana, come il padre. Quest'ultimo, dopo la Liberazione, soccorse un fascista bastonato ingiustamente, a guerra finita.  Un esempio di coraggio, di altruismo e  di perdono, che pure non fa torto ai valori e agli ideali per cui si è combattuto.

"La guerra è guerra. E quanto purtroppo sta avvenendo a poche centinaia di chilometri da noi ce lo ricorda bene con scene di violenza, morte e distruzione che non avremmo mai voluto vedere e che non vorremmo vedere nemmeno in altre parti del mondo dove quotidianamente si combatte. Perché la guerra è distruzione.
Il significato di questa giornata è ricordare la liberazione dell’Italia dal nazifascismo. E la liberazione è stata resa possibile da persone che con coraggio si sono spese per gli ideali in cui credevano. Perché sono sempre le persone a fare la differenza, nel bene e nel male. Anche nelle scelte di tutti i giorni. Persone come Giovanni Battista Corte, Piero Corte e tutta la loro famiglia. La loro storia è la storia di gente che non si è risparmiata nella resistenza, ma che ha sempre mantenuto chiari i valori, i limiti, i confini delle azioni. E un principio essenziale: non fare agli altri quello che ti ha fatto soffrire, o che non vorresti venisse fatto a te.
Se la storia avesse davvero insegnato qualcosa, oggi non ci sarebbero guerre nel mondo. Non ci sarebbero punti di vista diversi rispetto agli aggressori, che vanno condannati senza se e senza ma. Non ci sarebbero famiglie costrette ad abbandonare i loro affetti, i loro territori, i loro averi per colpa di azioni armate, violente e oppressive. Famiglie che anche a Treviglio stanno trovando accoglienza, ascolto, risposte ai bisogni nel solco di una tradizione secolare di grande solidarietà cittadina. Siamo tornati tutti assieme a celebrare questa giornata così importante e preziosa per la nostra democrazia e, son convinto di parlare a nome di tutti, siamo tornati tutti assieme per dire convintamente il nostro “NO” a ogni forma di violenza, discriminazione, sopruso".

Il discorso di Juri Imeri per la Liberazione

Come ogni anno, le celebrazioni del 25 aprile a Treviglio si sono tenute in piazza Insurrezione, dopo un lungo corteo che al termine della messa in Basilica si è dipanato tra piazza Manara, largo Marinai d'Italia, via dei Facchetti (dove si trova il monumento alla Resistenza), piazza Mentana, viale del Partigiano e piazza del Popolo (con il Commissariato e il monumento ai caduti della Polizia di Stato).

Di seguito il discorso integrale  del primo cittadino

“Il 5 maggio 1945 c’era una fila di fascisti catturati che avevano buttato l’abito fascista e recuperato in qualche modo indumenti borghesi. Erano in piazza, e io che ero un bambino di 11 anni, vedo una scena: un vecchio del paese da una bastonata senza motivo a ul primo dei fascisti che era li. Pam. Sanguina e cade. Io scappo. Era finita ormai. Ero allegro pochi giorni prima per la Liberazione e non è cambiato niente. Anzi. Noi siamo come loro.
Qualche anno dopo scoprii che mio papà, staffetta partigiana, aveva soccorso quel fascista. Con tutto quello che gli avevano fatto e che aveva visto, lui il 5 maggio 1945 non esitò a caricare sulla Balilla quell’uomo e a portarlo in ospedale.
Fu il giorno più bello della mia vita ed il più bel regalo che potevo avere.”

Sono le parole di Piero Corte, piemontese cresciuto a Varallo, che nei giorni scorsi ha raccontato a Mario Calabresi il “suo” 25 aprile, chiacchierando per il podcast “Altre storie”.
Lui, che ascoltava di nascosto Radio Londra e che un giorno, a causa di una soffiata, venne preso dai tedeschi e caricato su una macchina dove gli intimarono di accompagnarli dal papà. Lui sapeva che il padre era nell’osteria lì vicino, ma con grande coraggio indirizzò i tedeschi prima a un’osteria, poi a un’altra e poi a un’altra ancora per dare al papà il tempo di scappare. Al terzo posto sbagliato i fascisti capirono che li prendeva in giro e lui, terrorizzato, li portò finalmente all’osteria giusta, quella dove il papà era e dalla quale sperava fosse scappato. Ma non fu cosi, perché il padre era lì ad accoglierli. “Qualche giorno prima avevano ammazzato un ragazzo di 14 anni per aver portato il pane ai partigiani e mio padre ha avuto paura che facessero qualcosa a me. Quando l’ho visto, mi son sentito in colpa”.
Lui che dopo quel giorno, nel quale il papà venne preso ostaggio dai tedeschi per essere interrogato senza sosta, scoprì che dieci uomini sarebbero stati fucilati e che tra questi c’era il papà. Corse a dirlo alla mamma: lei prese Piero e gli altri figli e andò nel piazzale. “Se fucilano papà devono fucilare tutti noi”. I tedeschi si fermarono e liberarono il papà, Giovanni Battista — Tita il nome di battaglia — prendendo in ostaggio un figlio, nonostante l’opposizione del padre, che venne pestato a sangue da tale Capitano Venturini. Il figlio venne portato via, vestito da fascista, per far ritorno a casa qualche tempo dopo senza un piede, fatto esplodere da una mina.

Giorno dopo giorno anche Piero Corte divenne una staffetta partigiana come il papà. “Avevo una fifa tremenda. Ma avevo un ruolo nella resistenza”. La resistenza consentì di arrivare al 25 aprile 1945, quando anche Giovanni Battista Corte, il papà, scese in prima fila con tutti i comandanti: “Sembrava un sogno, era una giornata bellissima e i partigiani erano allegri, contenti. E’ vero, c’erano morti per strada, i fucilati. Ed io che ero un bambino — e ho visto ragazzi ai quali avevano strappato le unghie, che avevano occhi come fanali — percepivo quel senso di liberazione, pur nella tragedia di quanto avvenuto. Dopo quel giorno, trovai un bel lavoro. Un giorno andai a Milano, in trasferta. Scesi dalla macchina e un signore mi disse: io la conosco Varallo. Io riconobbi lui. E cominciai a prenderlo a pugni e calci. Non riuscivano a tenermi. Era Venturini, il fascista che aveva picchiato il mio papà.
Mi portarono via in due e rassegnai le dimissioni. Ma il mio capo, radicale, mi disse di no: lo prese lui quel cliente e mi permise di continuare a lavorare. Mio papà non sarebbe stato contento di quel che feci quel giorno”

Quanti esempi di coraggio, di altruismo, di perdono in questa bella storia di Piero Corte.
La guerra non giustifica tutto. L’attacco a un paese non giustifica tutto. La violenza, non giustifica tutto. Resistere all’invasione era doveroso, difendere il proprio Paese era necessario, ma i valori e i principi non sono stati e non sono negoziabili.
Giovanni Battista Corte non scappò lasciando suo figlio ai tedeschi, perché l’amore per un figlio vale più di tutto.
Giovanni Battista Corte non volle essere risparmiato dalla fucilazione se la contropartita è il rapimento di un figlio, arruolato poi forzatamente tra i fascisti.
Giovanni Battista Corte soccorse il fascista inutilmente preso a bastonate in testa, perché la dignità di un uomo non può essere calpestata.
Ce lo ha detto anche Papa Francesco nell’emozionante pellegrinaggio di sabato in Vaticano.
“La guerra sta distruggendo non solo l’Ucraina ma, siamo coraggiosi, diciamo la verità. Distrugge tutti i popoli coinvolti. Distrugge i vincitori, e anche chi la guarda con occhi superficiali, per vedere chi ha vinto e chi ha perso”.
La guerra è guerra. E quanto purtroppo sta avvenendo a poche centinaia di chilometri da noi ce lo ricorda bene con scene di violenza, morte e distruzione che non avremmo mai voluto vedere e che non vorremmo vedere nemmeno in altre parti del mondo dove quotidianamente si combatte. Perché la guerra è distruzione.
Il significato di questa giornata è ricordare la liberazione dell’Italia dal nazifascismo. E la liberazione è stata resa possibile da persone che con coraggio si sono spese per gli ideali in cui credevano. Perché sono sempre le persone a fare la differenza, nel bene e nel male. Anche nelle scelte di tutti i giorni. Persone come Giovanni Battista Corte, Piero Corte e tutta la loro famiglia.
La loro storia è la storia di gente che non si è risparmiata nella resistenza, ma che ha sempre mantenuto chiari i valori, i limiti, i confini delle azioni. E un principio essenziale: non fare agli altri quello che ti ha fatto soffrire, o che non vorresti venisse fatto a te.
Se la storia avesse davvero insegnato qualcosa, oggi non ci sarebbero guerre nel mondo. Non ci sarebbero punti di vista diversi rispetto agli aggressori, che vanno condannati senza se e senza ma. Non ci sarebbero famiglie costrette ad abbandonare i loro affetti, i loro territori, i loro averi per colpa di azioni armate, violente e oppressive. Famiglie che anche a Treviglio stanno trovando accoglienza, ascolto, risposte ai bisogni nel solco di una tradizione secolare di grande solidarietà cittadina.
Siamo tornati tutti assieme a celebrare questa giornata così importante e preziosa per la nostra democrazia e, son convinto di parlare a nome di tutti, siamo tornati tutti assieme per dire convintamente il nostro “NO” a ogni forma di violenza, discriminazione, sopruso.

Ringrazio Don Norberto per la celebrazione della Santa Messa e don Stefano per averci accompagnato nel doveroso omaggio ai caduti dei marinai, dei partigiani, dei carabinieri, degli aviatori, della polizia, della finanza, dei bersaglieri e di tutti i caduti di tutte le guerre.
Ringrazio e saluto i rappresentanti delle forze dell’ordine, per la presenza e per il lavoro quotidiano, le associazioni combattentistiche e d’arma, i gruppi di protezione civile, gli assessori e i consiglieri comunali, i rappresentanti della scuola e dell’associazionismo. Un saluto, che è anche un ringraziamento, va al Corpo Musicale Città di Treviglio che ci sta accompagnando. E infine saluto le cittadine e i cittadini trevigliesi.
E’ stato bello tornare a vivere insieme e a condividere i valori e le emozioni di questa giornata. Ma credo che oggi la presenza vada oltre a quella fisica. Abbiamo scelto di esserci.
Con l’auspicio che la storia di Piero Corte e della sua famiglia possa sollecitare in tutti noi quel moto di valori positivi di cui abbiamo costantemente bisogno.
Buon XXV Aprile!
Viva l’Italia! Viva Treviglio!

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