Martinengo

E' morto a 32 anni il regista Stefano Malchiodi, portò a Martinengo il David di Donatello

A ricordarlo sono anche gli amici della Pallacanestro Martinengo: "Eri un sognatore e non avevi paura di affrontare le sfide"

E' morto a 32 anni il regista Stefano Malchiodi, portò a Martinengo il David di Donatello
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Nel 2021 aveva portato il nome di Martinengo là dove pochi riescono ad arrivare. Nelle sue mani, a soli 29 anni, Stefano Malchiodi aveva stretto uno dei premi cinematografici più ambiti: il David di Donatello. Il premio per il cortometraggio "Anne", realizzato insieme a Domenico Croce, aveva rappresentato l'inizio di una carriera che si annunciava brillante. Oggi, la notizia della sua scomparsa, a soli 32 anni, ha lasciato la comunità di Martinengo, dove era nato e cresciuto, senza parole.

Muore a 32 anni il regista Stefano Malchiodi

Cosa sia accaduto al giovane regista non è ancora stato reso noto, ma il decesso sarebbe intervenuto in seguito a un malore improvviso in un ospedale di Roma, dove il 32enne si era trasferito nel 2015 per inseguire il suo sogno. Nella casa di famiglia di via Fermi non c'è nessuno: papà Gian Carlo e il fratello Giorgio (la mamma era scomparsa qualche anno fa) sono partiti per raggiungere la capitale e ricongiungersi con Stefano, la cui salma sarà composta nell'abitazione di via Fermi 4 giovedì 21 dicembre nel pomeriggio. I funerali saranno celebrati nella chiesa parrocchiale alle 14 di venerdì 22.

"Ciao Malchio"

"Ciao Malchio". E' dai social che arriva il primo commosso saluto. A scriverlo sulla pagina Facebook della società è la Pallacanestro Martinengo dove Stefano aveva giocato per anni da giovanissimo.

"In questo triste momento volgiamo utilizzare le parole di un suo amico ed ex compagno di squadra - scrivono - Se vogliamo dare un nome e un'immagine al termine "nella mischia" questa dovrebbe assumere i connotati di Stefano Malchiodi. Sei cresciuto respirando pane e basket come molti ragazzi della tua generazione, donando ogni singola goccia di sudore del tuo corpo a questo sport che tanto amavi. Dall'autunno alla primavera in palestra con la squadra e in estate sotto il sole cocente del campetto per imparare nuovi movimenti da portare alla stagione che di li a poco sarebbe ripartita. Il tuo stile di gioco era agonistico e con un'enorme sete per il rumore della retina; bramavi il canestro più di ogni altra cosa. Uno sguardo deciso verso quel cerchio metallico, mille palleggi, testa bassa ed eri pronto a gettarti nell'area avversaria tra le braccia degli altri giocatori, fino ad appoggiare delicatamente la palla sul tabellone che scivolava inesorabilmente in fondo alla retina mettendo a segno i due punti. Eri un sognatore e non avevi paura di affrontare gli avversari più grandi di te o di accettare le sfide decisive. Non avevi paura di gettarti nella mischia, appunto".
Un sognatore, così lo ricordano, stringendosi attorno alla famiglia colpita da una morte improvvisa e ancora inspiegabile.

"Anne" e quella statuetta tra le mani

"Sono molto onorato e allo stesso tempo incredulo della vittoria. Non solo perché è uno dei riconoscimenti più alti che posso raggiungere per quanto riguarda la mia carriera, ma soprattutto perché si tratta di una produzione “tra amici”, fatta con amici, senza grossi finanziamenti, né grosse produzioni".

Aveva commentato così la sua vittoria, inaspettata certo, ma tanto meritata. A convincere la giuria era stato il cortometraggio intitolato "Anne" basato sulla storia reale di James Leininger, un bambino americano nato nel 1996, che fin dall’età di due anni mostra di aver ricordi di una vita passata. Gran parte di questi ricordi – si scoprirà attraverso il filmato – coincidono con le vicende del pilota di aviazione James Huston II, realmente vissuto e morto nella battaglia di Iwo Jima nel 1945.

Questo bambino, ormai divenuto ragazzo, ha vissuto una sindrome da stress post traumatico dall’età dei due anni fino agli otto. Si svegliava urlando di notte, senza che nessuno potesse capire che cosa avesse. La stranezza era la sua particolare passione per gli aeroplani. Conosceva i nomi di tutte le componenti meccaniche degli stessi, ricordandosi – sorprendentemente – anche di alcuni specifici fatti di guerra. La curiosità del padre, che voleva far luce sulla vicenda, ha permesso di rimettere insieme tutti i pezzi del puzzle, scoprendo così che tutti i ricordi e le conoscenze potevano essere ricondotte all’esperienza dell’aviatore scomparso a fine della Seconda Guerra Mondiale.

"Precisamente non so come sia venuto a conoscenza di questa storia – aveva spiegato il regista martinenghese – so per certo che mi era rimasta talmente impressa che avevo sentito l’esigenza di raccontarla".

Il cortometraggio si svolge su due distinti piani del racconto, che corrispondono a due differenti piani della realtà: da un lato la storia del bambino e dei suoi genitori che ricercano la causa del suo malessere e delle stravaganze del piccolo, dall’altro c’è il racconto dei sogni e dei ricordi del piccolo, corrispondenti alla sua vita precedente. La prima "sezione" è resa nel filmato attraverso un girato realizzato da Malchiodi e Croce, successivamente rotoscopizzato, e cioè quasi animato-pittorico, mentre la seconda si compone di immagini di repertorio.

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