Combattere l'endometriosi: "Alle ragazze non dite che soffrire è normale"
Ne parliamo con Massimo Bardi, 70 anni, ginecologo libero professionista oggi consulente alla Humanitas Gavazzeni di Bergamo
"Su, sopporta, ci siamo passate tutte, ma non fa così male". Dal giorno in cui compare la prima mestruazione ce lo siamo sentite dire un po’ tutte. Chi dalla mamma, chi dalla nonna o dalla zia. Quello che da sempre viene bollato come un dolore "normale", però, non sempre lo è. E quando a renderlo insopportabile è una malattia insidiosa e subdola come l’endometriosi, il rischio di arrivare troppo tardi alla diagnosi è altissimo. Il risultato è che, nel 2024, in Italia il ritardo nella diagnosi di una malattia così invalidante è di otto-nove anni. Le conseguenze, inoltre, sono drammatiche. Almeno nel 30-40% dei casi l’endometriosi è causa di infertilità e comporta un percorso per la paziente non solo medico, ma anche psicologico. Ancora oggi sono pochi i centri e i medici che trattano questa malattia, ai più ancora sconosciuta.
Endometriosi, proviamo a conoscerla
Nel mese della consapevolezza, il nostro Giornale ne ha voluto parlare con Massimo Bardi, 70 anni, ginecologo libero professionista oggi consulente alla Humanitas Gavazzeni di Bergamo.
Dottore, lei è tra i pochi in bergamasca ad essersi battuto per cercare di curare questa malattia. Perché è ancora così difficile?
L’endometriosi paga il prezzo di essere una patologia poco remunerativa e che suscita quindi scarso interesse nei colleghi medici. Nei miei anni di esperienza ho sempre incontrato una grande fatica a creare un gruppo di lavoro, un team multidisciplinare in grado di affrontare la malattia a 360 gradi. L’endometriosi, infatti, non è materia solo per il ginecologo, ma coinvolge l’urologo, il terapista del dolore, il chirurgo addominale, lo psicologo. Purtroppo molto spesso ho riscontrato scarsa volontà di impegnarsi per dare concrete risposte a queste donne. In provincia di Bergamo non siamo messi molto bene. I centri migliori nelle vicinanze, dopo l’Ospedale Sacro Cuore don Calabria a Negrar (Veneto), sono il San Raffaele e il Macedonio Melloni a Milano. Nel mio piccolo ho sempre cercato di attivare ambulatori ad hoc dove prestavo servizio ed è quello che sto facendo ora all’Humanitas Gavazzeni dove dovremmo riuscire – è questione di giorni ormai – ad aprire un centro privato per l’endometriosi in grado però di garantire alcune visite settimanali con il Sistema Sanitario Nazionale. Dal punto di vista ambulatoriale ci sono molte più opportunità, come il centro di medicina integrata “CasaMedica” e senz’altro nei centri di ricerca universitari.
Qual è stata la sua esperienza sul campo in questi anni?
Ho attivato il primo ambulatorio specifico per l’endometriosi nel 2013 all’ospedale di Calcinate. E’ nato tutto quasi per caso parlando di fecondazione assistita con un collega e analizzando dei numeri in aumento. Grazie al supporto della direzione di Treviglio e dell’allora primario Giovanni Sgroi abbiamo iniziato un percorso che, però, si è interrotto pochi anni dopo con il cambio del primario e il mio trasferimento al Policlinico di Ponte San Pietro. Lì ho continuato con il solo supporto delle associazioni che nel frattempo si stavano costituendo in numero.
E’ una patologia difficile da diagnosticare. Come mai?
Individuare questa patologia non è semplice, ma un ritardo di otto-nove anni nella diagnosi è inaccettabile. Ciò è in parte dovuto anche all’errata abitudine di pensare che il dolore mestruale sia normale. Nonne e madri, ancor prima dei medici, hanno sottovalutato il dolore provato dalle loro figlie condannandole ad anni di sofferenza e portandole alla diagnosi a uno stadio della malattia già avanzato. Le tecniche diagnostiche vanno dall’ecografia alla risonanza magnetica, ma molti medici sono in grado di individuare la malattia solo in presenza delle più classiche cisti, in pochi la intercettano in assenza di segni evidenti.
Come bisogna comportarsi in caso di sospetto?
Non bisogna in nessun modo sottovalutare il dolore pelvico cronico ed è consigliabile sottoporsi a visite precoci, anche a 17-18 anni per poter introdurre da subito terapie in grado non di curare, ma di rallentare il progredire della malattia. Si tratta delle pillole anticoncezionali, di cure al progesterone che possono ridurre i sintomi. L’intervento chirurgico, invece, è previsto solo nei casi più gravi quando anche gli altri organi risultano compromessi.
Quali sono le cause dell’endometriosi?
Esiste un grande dibattito ancora aperto sulle cause che scatenano l’endometriosi: tra le più importanti c’è la mestruazione retrograda. In questi casi piccole parti di tessuto endometriale si muovono in senso inverso attraverso le tube per impiantarsi nell’addome o comunque al di fuori della cavità uterina. Ma sono molte le concause e non va esclusa anche una componente genetica.
E’ comunque una malattia relativamente nuova...
Non è una malattia “nuova” nel senso più letterale del termine, ma può essere vista come conseguenza indiretta del cambiamento della società in cui viviamo. Fino a 50-60 anni fa le donne restavano incinta presto e portavano avanti più gravidanze e allattamenti. Tutto questo bloccava, di fatto, la malattia, impedendole di peggiorare in modo così evidente prima dell’insorgere della menopausa.
Quale consiglio si sente di dare alle giovani?
Non bisogna sottovalutare il rischio di questa malattia altamente invalidante, meglio un controllo in più e una terapia in più che arrivare a diagnosticare l’endometriosi troppo tardi. Bisogna sfatare le dicerie che vengono tramandate di generazione in generazione sulla normalità del dolore mestruale e sull’idea errata che un flusso abbondante sia positivo mentre uno scarso sia negativo. E’ l’esatto opposto: un flusso troppo abbandonate, si chiama emorragia e si verifica in casi di patologie serie non è assolutamente vero che “pulisce l’utero”. Per sensibilizzare davvero le giovani generazioni è necessario che di questi temi se ne parli anche a scuola, soprattutto in quarta e quinta superiore. Purtroppo finora anche la scuola è rimasta al margine.