Blitz contro la 'Ndrangheta, un arresto anche a Spirano

Diverse persone arrestate tra Brescia e Bergamo, una di loro viveva a Spirano.

Blitz contro la 'Ndrangheta, un arresto anche a Spirano
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Imprenditori che si affidavano ad appartenenti alla ‘ndrangheta per intimidire, minacciare, farsi largo tra appalti e commesse.  Come riporta il giornaledeinavigli.it  succede tra Bergamo e Brescia, ma le indagini del Ros hanno varcato i confini mettendo in luce movimenti anche nelle province di Milano, Pavia, Como, Novara, Firenze e Reggio Calabria.

L’inizio delle indagini

Tutto ha inizio con un incendio violento: nel 2015 14 mezzi di una ditta di autotrasporti di Seriate vengono danneggiati, di cui sei dati alle fiamme. Un danno enorme per la società: i camion e i trattori vengono distrutti dal rogo, appiccato in modo inequivocabilmente doloso. Le telecamere installate nell’azienda e le taniche di benzina trovate nel parcheggio del magazzino non lasciano dubbi. Gli autori si sono introdotti di notte all’interno dell’azienda, hanno spaccato i finestrini dei tir e hanno versato gasolio nelle cabine, a cui hanno poi dato fuoco.

La rivalità tra due ditte

Il Comando Provinciale dei carabinieri di Bergamo inizia subito le indagini e scopre che dietro l’incendio doloso c’è una rivalità tra due ditte che si occupano entrambe di trasporti e tutte e due sono nell’ambiente dell’ortofrutta: concorrenza spietata. Nel 2016 la rivalità si fa più forte, quando le ditte terze per le quali lavorano decidono di affidarsi a una sola azienda, valutando la migliore offerta.

I giochi sporchi

Iniziano i giochi sporchi, con il coinvolgimento di personalità di calibro, pienamente inserite all’interno delle cosche calabresi, al fine di ottenere gli appalti, senza esclusione di colpi. Dopo attente indagini, la Dda di Brescia riesce a fare luce sull’incendio: il mandante è Giuseppe Papaleo, 49 anni, nato a Crotone, residente negli Emirati Arabi e domiciliato a Predore (Bergamo), titolare dell’impresa in concorrenza con quella a cui erano stati incendiati i mezzi.

Mandante ed esecutori

Gli esecutori materiali sono Domenico Lombardo, Mauro Cocca e Giovanni Condò, mentre Vincenzo Iaria, nel gruppo, ricopre il ruolo di “reclutatore” degli esecutori. L’associazione pensava di mandare così un segnale al titolare della ditta, Antonio Settembrini e convincerlo a rinunciare a una buona fetta del suo mercato. A togliere ogni dubbio sulle responsabilità, un’intercettazione in cui Cocca discute con la moglie: “Un disastro amore, un disastro. Mi hanno chiamato a parlare, sanno tutto, hanno tutto. Io ho portato le taniche”. Settembrini aveva già intuito quello che stava per succedere: “Mi vuole fare fuori quello, far uscire dai giochi, così nella zona rimane da solo a dettare legge”, parlava a un amico dopo il rogo.

Settembrini, non proprio una vittima

Ma il profilo di Settembrini, in questa vicenda, non è quello di una vittima, anzi. Nato a San Giorgio Lucano e residente a Grassobbio (Bergamo), Settembrini, 54 anni, per gli inquirenti era il mandante di una serie di minacce e intimidazioni ai danni di altri imprenditori della zona (tra cui Papaleo, figlio di Claudio, già condannato per associazione mafiosa e fratello di Francesco Antonio, il reggente della famiglia Arena di Isola di Capo Rizzuto. Francesco fu ucciso in un agguato: da quell’omicidio nacque la guerra tra le famiglie Arena e Nicoscia).

Blitz contro la ‘ndrangheta: le minacce ai concorrenti

Per minacciare i concorrenti, Settembrini reclutava personaggi di spessore che potevano rivendicare l’appartenza alla ‘ndrangheta. Tra questi, la famiglia Caminiti, di Reggio Calabria: padre, figlio e nipote (Carmelo, Michele Fabio e Carmelo), professionisti delle intimidazioni, in particolare il capostipite Carmelo, classe 1961. I legami con la ‘ndrangheta sono di alleanze e sangue: i Carminiti sono ricollegabili alle cosche Franco e Tegano-De Stefano. Con la prima in seguito al matrimonio di Carminiti con Anna Maria Franco (nata a Taurianova, Reggio Calabria): legami di fedi che hanno rafforzato il potere della famiglia e il nome che spendevano per farsi dare denaro dagli imprenditori presi di mira. Non solo: orologi Rolex, gioielli, diamanti. Periodicamente l’associazione si faceva consegnare qualche bene di lusso e una serie di ricariche postepay, per un valore complessivo di centinaia di migliaia di euro estorti senza alcun motivo, solo per “tenere a posto le cose”. Una vicenda dove sono implicate una ventina di persone che, a titolo diverso, lavoravano verso l’unico obiettivo di intimidire, minacciare e ottenere commesse e silenzio con il metodo mafioso.

Blitz contro ‘ndrangheta: i nomi degli arrestati, uno è di Spirano

Diciannove le ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip del Tribunale di Brescia tra Lombardia e Calabria: in carcere sono finiti due Caminiti (il padre Carmelo, classe 1961, e il nipote omonimo classe 1986, soprannominato Ciopì, entrambi di Reggio Calabria), Demetrio Andrea Battaglia (Di Reggio Calabria, domiciliato a San Martino Siccomario, Pavia), Paolo Malara (di Reggio Calabria, detenuto a Catanzaro), Antonio Pizzi (di Reggio Calabria), Antonio Francesco Pizzimenti (Reggio Calabria), Maurizio Scicchitani (nato a Bareggio e residente a Cornaredo), Giuseppe Papaleo (nato a Crotone, residente negli Emirati Arabi e domiciliato a Predore, Bergamo), Vincenzio Iaria (di Taurianova, Reggio Calabria), Domenico Lombardo (di Reggio Calabria), Alessandro e Carlo Santini (nati a Bergamo ed entrambi residenti ad Azzano San Paolo). Domiciliari per Sergio Malara (di Reggio Calabria), Michele Fabio Caminiti (Reggio Calabria), Anna Maria Franco (Reggio Calabria), Antonio Rago (nato a Torino, residente a Cenate Sotto, Bergamo), Felice Sarica (nato a Reggio Calabria, residente a Spirano, Bergamo), Mauro Cocca (nato a Gavardo, Brescia, e residente a Villanuova sul Clisi, sempre Brescia) e Giovanni Condò (nato a Polistena, Reggio Calabria, e residente a Gavardo, Brescia).

Il commento dell’assessore De Corato

“L’ottimo lavoro della DDA e dei carabinieri di Bergamo e Brescia ha consentito di assicurare alla giustizia esponenti di una cellula della ‘ndrangheta che operava illecitamente nel settore del trasporto ortofrutticolo”. Lo ha detto l’assessore regionale alla Sicurezza, Immigrazione e Polizia locale, Riccardo De Corato. “Proprio oggi – ha aggiunto – durante la presentazione del secondo rapporto di ricerca ‘Monitoraggio della presenza mafiosa in Lombardia’ si è posto l’accento sulla filiera ortofrutticola. Nel documento- vi sono numerosi riferimenti all’ingerenza della criminalità nel mercato ortofrutticolo all’ingrosso che ha continuato a rappresentare un luogo di forte interesse per le organizzazioni criminali di stampo mafioso. I gruppi criminali offrivano agli imprenditori manodopera a basso costo (spesso sfruttata e di origine straniera), reinvestendo il capitale ricavato in altre attività. Ed ancora alcuni episodi mostrano un clima di intimidazioni generalizzato all’interno dell’ortomercato milanese. Nel rapporto emerge con chiarezza la multidimensionalità del mercato ortofrutticolo rispetto al fenomeno mafioso. L’ortomercato offre, in tal senso, opportunità diversificate per i clan: dalle estorsioni al caporalato; dal traffico di armi e di stupefacenti
al riciclaggio di denaro; dall’investimento nel settore del facchinaggio sino a quello nei trasporti. Gli arresti di oggi  confermano pertanto quanto pubblicato nel rapporto. Un atto da divulgare nelle varie aule formative lombarde”.

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