Cologno al Serio

Nella vita una donna su tre ha subito qualche atto di violenza

Venerdì 25 novembre una serata per riflettere su un tema caldissimo. Presente anche il magistrato Laura Cocucci della Procura di Bergamo.

Nella vita una donna su tre ha subito qualche atto di violenza
Pubblicato:
Aggiornato:

No alla violenza di genere, che parte dalla prevaricazione fisica ma anche dagli stereotipi e dai pregiudizi. E venerdì scorso all'auditorium delle medie la serata organizzata dal Comune di Cologno sul tema ha evidenziato anche la necessità di occuparsi degli uomini maltrattanti.

Violenza di genere, tante le sfaccettature

Venerdì 25 novembre, anche a Cologno è stata organizzata una serata di riflessione in occasione della Giornata mondiale per l'eliminazione della violenza sulle donne. Un tema che il paese sente in modo particolare dopo il femminicidio del 2019 in cui perse la vita Zina.

"Questa iniziativa per sensibilizzare sul tema della violenza di genere è stata organizzata con il contributo della commissione Pari opportunità - ha esordito la sindaca Chiara Drago - anche per riflettere sul più ampio tema degli stereotipi e delle disuguaglianze che la commissione intende contrastare. Ecco il perché della presenza dei relatori che sono qui stasera, nel tentativo di affrontare il tema da più punti di vista e con le diverse competenze che investono la nostra azione di amministratori comunali".

Quindi ha presentato gli ospiti: il magistrato Laura Coccucci della Procura di Bergamo, la psicologa Chiara Conti di Sirio, i carabinieri della Compagnia di Treviglio con il capitano Giuseppe Romano, la comandante della Polizia locale Monica Tresca e l'assistente sociale comunale Sara Pacchiana. Al pubblico la possibilità di fare una donazione per avere il bracciale contro la violenza che sosterrà i progetti del centro antiviolenza gestito Sirio.

Cocucci: "Vengo in punta di piedi, cerchiamo di rendere nostro intervento più efficiente"

A moderare la serata è stata l'assessore ai Servizi sociali Lara Maccarini, che ha dato la parola al magistrato.

"Vengo a parlare con voi in punta di piedi, umilmente e sommessamente, perché ricordo che la vostra comunità ha vissuto un femminicidio nel 2019, che ha lasciato un segno profondo nei cittadini che giustamente all'epoca chiesero delle risposte - ha esordito Cocucci - e sia la Procura che l'Arma dei carabinieri non si sottrassero a un confronto per cercare di capire se i protocolli erano stati rispettati e si poteva fare di più per evitarlo. Da allora ci siamo messi in campo per rendere più efficiente il nostro intervento".

Sotto il profilo qualitativo si è puntato sulla formazione.

"Abbiamo capito che bisogna mettere in campo operatori specializzati - ha affermato - La formazione nelle Forze dell'ordine come tra gli assistenti sociali, gli psicologi e nel mondo della scuola è una priorità perché ogni caso è a sé e serve una sinergia di intervento"

Dal punto di vista quantitativo, invece, maggiori risorse sul fronte della violenza di genere.

"Prima impegnavamo 3-4 magistrati, oggi c'è una piccola task force di sei a tempo pieno - ha rivelato - Il famoso codice rosso ha affermato una priorità nella trattazione di questi reati e probabilmente dato fiducia alle donne perché le denunce aumentano: in tutta la provincia nel 2018-2019 300-400 notizie di reato all'anno per la violenza domestica, nel 2021 sono salite a 840 e oggi 865. A parte la flessione nel periodo del lockdown, seguito peraltro da un'impennata delle denunce, il trend è in costante aumento".

Un terzo punto chiave è come occuparsi dell'uomo maltrattante.

"Dobbiamo occuparci di lui in modo precoce - ha spiegato - in molti casi, di fronte a delle crisi di coppia, ci sono uomini che perdono l'autocontrollo e un intervento potrebbe evitare l'escalation della violenza. Sul nostro territorio stanno nascendo centri che si occupano di loro. Gli strumenti che noi magistrati abbiamo a disposizione sono adeguati, grazie alla convenzione di Istanbul nel 2011, ratificata dall'Italia nel 2014, dove si definisce la violenza domestica e di genere e si impone agli Stati di intervenire con strumenti normativi. Il Parlamento italiano lo ha fatto con molteplici interventi, al di là dei pochi finanziamenti per gli operatori: oggi possiamo mettere in protezione una donna, allontanare l'uomo violento, imporre il divieto di avvicinamento, istruire processi dove vengono date pene che sono state ampliate, decidere la custodia cautelare in carcere. Ciononostante il fenomeno nella società ha ancora una grande parte di sommerso".

"Nella vita una donna su tre ha subito qualche atto di violenza"

Cocucci ha rivelato i dati Istat che la Commissione parlamentare ha reso noti: una donna su tre nella vita ha subito un qualche atto di violenza. Dalla molestia sessuale al tentativo violenza, allo schiaffo del marito, allo strattonamento del fratello e così via. Il problema ha radici culturali, manca il concetto di parità di genere, ed è trasversale alle società di tutto il mondo.

"Probabilmente la violenza c'è ma non si vede e le donne non la raccontano, si tenta di ridimensionare - osservato Cocucci - Se invece tutti ne parlassero emergerebbero i numeri nelle loro realtà e gli uomini sarebbero maggiormente posti di fronte alla loro responsabilità. Spesso i casi sul nostro tavolo non sono arrivati per denuncia, perché la donna ha paura, teme di non essere creduta e che il processo finisca per assolvere l'uomo e che sarebbe per lui una vittoria. Sono portati all'attenzione da qualcuno che ha avuto il senso civico e il coraggio di parlare. Oggi possiamo mettere telecamere per verificare le violenze, anche i medici hanno una sensibilità diversa. La violenza non è solo fisica: c'è quella verbale, le umiliazioni quotidiane non sempre visibili come i lividi, le minacce".

La violenza psicologica, quella economica e quella relazionale sono altri esempi di come la vittima di violenza viene costretta all'isolamento.

I carabinieri: "Aiutiamo la vittima a comprendere le violazioni ai suoi diritti"

"Come carabinieri facciamo un'attività di prevenzione, accogliendo la vittima e farle comprendere che alcune azioni possono essere una violazione dei propri diritti, come quella di non poter cercare lavoro, avere denaro per la spesa o essere costrette nella libertà personale, a volte non se ne rendono conto - ha detto il capitano Romano - Si cerca di instaurare un rapporto di fiducia per farle aprire ed arrivare alla denuncia: spesso hanno paura o sperano che il maltrattante cambi la sua condotta. Facciamo attività di protezione vigilando con le pattuglie nell'arco delle 24 ore, accertandoci che non sia presente nell'abitazione e al posto di lavoro".

"La Polizia locale che vorrei e a cui sto lavorando"

La Polizia locale, più prossima alla cittadinanza, notifica gli atti entrando nelle abitazioni, fa vigilanza davanti alle scuole, ha rapporti con i servizi sociali e quindi può cogliere segnali importanti di disagio familiare o a rischio.

"La Polizia locale deve essere preparata e conoscere leggi e procedure ma non basta - ha spiegato la comandante Tresca - servono attitudini che non è scontato che gli agenti abbiano, come la capacità di ascolto, l'empatia, la sensibilità e la generosità. Siamo in mezzo alla gente tutti i giorni e il Comando che voglio contribuire a formare deve essere quello in cui chi fa attraversare la strada ai bambini li osserva, e con loro le mamme: deve essere in grado di notare tristezza o segni nascosti, perché in un paese piccolo come il nostro è poi in grado di ricostruire identità e contesto. Entrando nelle abitazioni dovrebbe cogliere segnali, silenzi, esitazioni, il volersi nascondere... E ci vuole volontà di approfondire, di condividere quel che si è visto con i servizi sociali, con i colleghi, con gli altri uffici. L'obiettivo è una lenta evoluzione nella formazione".

Conti: "Più denunce e chi le sporge è più giovane"

Il testimone è passato poi a Conti, che ha spiegato l'attività del centro antiviolenza.

"Sono allo sportello donna di Sirio proprio dal novembre 2019, quando accadde il femminicidio di Zina - ha raccontato - prima ho lavorato tre anni nell'associazione Aiuto donna di Bergamo e poi nel coordinamento della rete di Bergamo. Nel 2022 abbiamo avuto 88 nuove prese in carico ma il centro ne segue 196, perché il percorso è complesso e lungo. Non tocca solo l'aspetto tra la vittima e l'uomo maltrattante ma anche i figli. I bambini vedono e stanno male. Non è così facile decidere di denunciare al primo schiaffo, perché il contesto è quello familiare dentro cui la donna ha investito il suo progetto di vita e ci sono i suoi figli, quindi le prova tutte. Fa il "passo" quando è preparata. Deve essere credibile al processo e non è così facile esserlo: la vittima non è sempre chiara nell'esposizione, a volte l'emozione è così forte che confonde date e luoghi, quindi per arrivarci serve tempo. Le denunce però sono aumentate, questo sì, anche perché sono stati fatti percorsi di formazione e sensibilizzazione alle Forze dell'ordine come ai medici e a i Pubblici ministeri, servirebbe anche ai giudici. Il codice rosso non è ancora perfetto ma riconosce i reati. Tante cose stanno cambiando e ciò permette alle donne di essere più certe che se raccontano violenze qualcuno ci crede, e non è cosa da poco. Si è abbassata anche l'età, sono più consapevoli e arrivano prima a cercare aiuto, tuttavia quando si vedono ragazzine sotto i 18 anni significa anche che chi compie reati si è giovanissimo. Il sommerso rimane comunque alto. Anche a scuola c'è molto da fare, così come nel linguaggio. Bisogna cominciare con i più piccoli".

Importante sottolineare che la vittima che denuncia violenza ha diritto ad assistenza legale gratuita.

Pacchiana: "Il nostro è un lavoro su tre livelli"

"Il nostro lavoro si sviluppa su tre livelli - ha spiegato - relazione con la donna, lavoro con gli operatori che si occupano di lei, lavoro di prevenzione con la comunità. Il primo colloquio è fondamentale, si raccolgono informazioni per comprendere meglio la sua storia e che tipo di urgenza ha la situazione, quindi l'assistente può accompagnarla a centri antiviolenza piuttosto che segnalare il caso in Procura. Il lavoro con gli operatori è di rete, all'interno della quale ci possono essere psicologi, Forze dell'ordine, servizio di tutela minori... Insieme stiliamo un progetto ad hoc per arrivare ad obiettivi specifici e concreti. Infine si fa informazione alla popolazione e si lavora in sinergia per esempio con scuole, parrocchia, Caritas per sensibilizzare rispetto al tema della violenza".

Violenza assistita: quando le vittime sono i figli

"Non è facile prendere in  carico gli uomini maltrattanti perché spesso non si riconoscono come tali - ha precisato Conti - e il rapporto con i figli è tema caldissimo: spesso li hanno visti mettere le mani addosso alla madre, denigrarla, svalutarla o impedirle di fare delle scelte e ciò non gli permette di sentirsi in un luogo sicuro con lui, e avere relazioni significative non è facile. Il codice rosso ha riconosciuto il reato di violenza assistita nei confronti dei figli, che comporta l'aggravio della pena e un risarcimento anche per loro".

"Non lasciamo che siano solo le donne ad occuparsi della violenza domestica e a portare avanti una battaglia culturale - ha richiamato Cocucci - quando si metteranno in prima linea anche gli uomini, a fianco delle donne, ciascuno con la propria professionalità con una motivazione e una sensibilità nuova, avremo fatto dei grandi passi avanti".

Braccialetti elettronici: troppo pochi

Un tallone d'Achille del sistema è la capacità di impedire che il maltrattante vessi la vittima che lo ha denunciato.

"I braccialetti elettronici, con i quali si possono controllare i movimenti del maltrattante, mancano" ha ammesso Cocucci.

"Quattro o cinque per il territorio di competenza della compagnia di Treviglio - ha confermato il capitano - irrisori rispetto al numero di persone agli arresti domiciliari".

L'azione nei confronti dell'uomo violento è diversa caso per caso.

"Applichiamo la misura dell'allontanamento, il divieto di avvicinamento, gli arresti domiciliari, il braccialetto elettronico e il carcere - ha affermato il magistrato - La valutazione del rischio è forse l'attività più delicata che svolgiamo, nessuno ha la sfera di cristallo per sapere cosa può succedere: ci pesa sulla coscienza come un macigno, tutti devono collaborare, chi ha preso in carico la situazione sotto il profilo sociale e anche i familiari, ogni caso è differente".

"La protezione dopo la denuncia, che a volte è necessaria subito, può però essere vissuta come una seconda punizione dalla donna: è lei che si deve spostare con i figli in un altro contesto, lasciare la sua casa. Ecco perché ha bisogno di tempo per decidere cosa fare, deve capire cosa  per lei è più sostenibile"

Vittime condizionate da un meccanismo perverso

Non tutte le donne hanno la forza di andarsene o lo fanno dopo tanti anni di sofferenze.

"Tante donne si sentono in colpa o addirittura stupide per essere finite in una situazione di violenza - ha spiegato Conti - ma nel maltrattamento continuativo la situazione è complessa: sono relazioni amorose in cui dopo la violenza ci sono le cosiddette lune di miele per cui la donna subisce un meccanismo di condizionamento che è difficile da rompere, una catena interiore, servono dai 5 ai 7 anni in media per uscirne. A meno che ci siano exploit particolari come la paura per i figli o la reazione dei figli stessi"

Dal pubblico qualcuno ha fatto notare la necessità di una rete di vicinato che vigili, che non faccia sentire sola la donna.

"Difficile perché il maltrattante non si mostra com'è, fuori appare molto diverso - ha concluso Conti - Ci vuole occhio sì ma anche attenzione, perché si possono rendere le cose anche più pericolose se non si sta attenti".

 

Seguici sui nostri canali