La Bassa piange Casimiro Brembati, 102 anni, reduce di Russia
Era un uomo giusto e mite che ha fatto della sua lunga vita un inno alla pace e al lavoro.
Si è spento oggi, venerdì 20 ottobre, a 102 anni, il decano di Pontirolo Casimiro Brembati. Agricoltore per una vita, uomo dalla tempra d'acciaio e dal sorriso buono per tutti, "Miro" era uno degli ultimi reduci della campagna di Russia, conosciutissimo e apprezzato in tutta la Bassa non solo per l'impegno sociale e politico ma anche per la dolcezza e la profondità con la quale raccontava ai più giovani, in ogni occasione che gli si presentasse, la sua lunga e incredibile vita. Era anche il nonno della nostra collega Monia Casarotti, alla quale in queste ore va la vicinanza e l'affetto di tutta la redazione del Giornale di Treviglio e di PrimaTreviglio.it
Addio a Casimiro Brembati, decano di Pontirolo e reduce di Russia
Classe 1921, vedovo, padre di tre figli e nonno affettuosissimo, Casimiro fece la Seconda guerra mondiale come fante, nella campagna di Russia dal gennaio 1942 all’armistizio dell'8 settembre 1943. Dopo questa devastante esperienza, usava dire che il ritorno a Pontirolo fu per lui l'inizio di una nuova vita.
«Il Signore mi ha fatto la grazia di ritornare a casa, poi la mia vita ha fatto boom!» raccontava al GdT quando compì 100 anni.
Una vita per il lavoro in agricoltura, poi la politica locale e la Coldiretti
Fu qui che creò «Brembo Farm», l’azienda agricola di famiglia cui dedicò tutta la vita e che ora prosegue grazie ai familiari. Il suo entusiasmo lo ha portato anche ad entrare nell’Amministrazione pubblica dagli anni 50’ agli anni ‘80, prima come consigliere comunale e vicesindaco, e poi a divenire presidente della sezione pontirolese della Coldiretti.
Solo pochi giorni fa, il 6 ottobre, al compimento dei 102 anni, Casimiro aveva festeggiato con la famiglia e con l’Amministrazione comunale, il Gruppo Alpini di Fara, i Paracadutisti di Filago e i «Combattenti e Reduci» di Sotto il Monte che in quell'occasione gli avevano consegnato un attestato da parte di tutta la Federazione Ancr di Bergamo.
Classe 1921, vedovo dal 1997, Casimiro, ancora perfettamente lucido e con una memoria di ferro, custodisce le memorie di un mondo che non c’è più e, soprattutto, la testimonianza diretta di cos’è stato il secondo conflitto mondiale per milioni di italiani.
Quando quella voce mi salvò la vita
Toccanti le parole che lo stesso Miro aveva raccontato tre settimane fa al Giornale di Treviglio, in occasione della Festa dei nonni. Scelse di raccontare un episodio di guerra, forse il più intenso e impressionante che visse di persona in quei mesi agghiaccianti al fronte. Parole che oggi, con altre due guerre alle porte d'Europa, suonano ancora più sinistre. Le ripubblichiamo qui, salutando anche noi un uomo giusto e mite che ha fatto della sua lunga vita un inno alla pace e al lavoro.
"Ero in Fanteria, un esploratore. Il ricordo della fame e del freddo che ho patito è rimasto indelebile dentro di me, e sono tanti gli episodi che segnarono la mia vita, ma ce n’è uno in particolare, che mi capitò nel dicembre 1943. Una sera sentii una voce dentro di me che mi diceva di non uscire in pattuglia, e la ascoltai. Quando mi chiamarono dissi che non mi sentivo bene e il soldato che prese il mio posto, Carlo, venne colpito da una scheggia e morì. Non ho mai dimenticato quel giorno e quel ragazzo, che era un orfano. Un segno del destino. Mi sono sempre chiesto se quella voce fosse quella di mia madre, morta anni prima. E in Ucraina incontrai una donna che si comportò con me come se fossi suo figlio: mi aveva accolto nella sua isba, una capanna col pavimento in terra battuta, dove la famiglia dormiva su assi di legno. Voleva che prendessi io il suo posto ma dissi che stavo bene anche su un giaciglio di paglia, per terra: dormivo abbracciato al mio moschetto, col colpo in canna, quando la sentii avvicinarsi: era venuta a rimboccarmi la coperta che avevo addosso... La mattina divise in due una forma di pane e me ne diede metà, che poi a mia volta divisi con i miei compagni. Mi disse che sperava che qualcuno potesse fare lo stesso con i sue tre figli sotto le armi... Quando tornai a casa il mio obiettivo era quello di «sfondare». Eravamo una famiglia contadina molto povera, ricordo che dalle due mucche che avevamo si ricavavano un paio di secchi di latte e da bambino mi si erano curvate le spalle portando i sacchi di erba per nutrirle... Coltivavamo anche i bachi da seta e, in primavera, per farli stare al caldo, si dormiva fuori, sul loggiato, per 40 giorni. Anni duri ma poi, nel giro di pochi decenni, la tecnologia ha cambiato completamente la società e oggi la mia azienda conta centinaia di capi. A tavola è sempre Natale".