Il piccolo Simone torna a giocare a rugby dopo 300 giorni in ospedale

Dopo quasi un anno trascorso in ospedale, il piccolo Simone è potuto tornare a giocare a rugby a Milano, nel "RugbyTots".

Il piccolo Simone torna a giocare a rugby dopo 300 giorni in ospedale
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Splendida la storia del piccolo Simone, raccontata da suo padre in una lunga lettera trasmessa ai nostri colleghi di SetteGiorni. Il piccolo, dopo essere stato 300 giorni in ospedale per un'emorragia cerebrale è tornato a giocare al suo sport preferito, il rugby.

La lettera del papà di Simone

Ecco di seguito il testo della lettera del papà di Simone, Fabrizio:

Un venerdì di novembre di quelli, per fortuna, con un po’ di pioggerellina e un accenno di nebbia. Forse non
il tempo ideale per allenarsi all’aperto, ma i bambini e i ragazzi che stanno giocando qui “alla casa del rugby”
non sembrano infastiditi dal clima. In fondo, la tensostruttura è illuminata; è li che incontriamo Fabrizio, il
papà di Simone.

Simone si è iscritto da poco al RugbyTots e ora si sta allenando insieme ai compagni di squadra, guidati da
Federico. A guardar bene, il coach sembra uscito dalle pagine di Collodi, ma è un Mangiafuoco dolce
mentre segue i salti e le corse dei bambini. E’ attento, le regole sono precise, uguali per tutti perché “la linea”
deve avanzare insieme ma, come ricorda il motto, l’apprendimento può essere divertente. Ed è proprio
questa l'atmosfera che si respira qui, sotto il tendone illuminato dalle corse dei bambini.

Lo sguardo di Fabrizio, però, racconta anche un’altra storia, la storia di Simone.

A pochi mesi di vita, Simone ha avuto un'emorragia cerebrale che ha dato il via ad un lungo calvario. Oltre 300 i giorni di ospedalizzazione in così pochi anni di vita, ai quali si aggiungono le terapie
continue. La diagnosi è grave: emiparesi destra e conseguente riduzione del campo visivo. Una sentenza
drammatica con la quale occorre imparare a convivere. Visite, terapie, psicomotricità, i genitori non si
arrendono e fanno l’impossibile per aiutare Simone a crescere al massimo delle sue possibilità, ma a un
bambino serve di più: serve divertirsi e giocare con gli altri bambini, esattamente quello che Simone sta
facendo in questo venerdì di novembre.

Fabrizio lo guarda da bordo campo con un po’ di apprensione e molto orgoglio perché, ci racconta, è stupito
dei risultati che suo figlio ha raggiunto in questo breve lasso di tempo. Nessun miracolo, si intende, e
nessuna illusione. Le terapie tradizionali continuano, ma è riuscito a inserire nell’intenso programma di cura
anche l’allenamento del "RugbyTots" dove, oltre alla necessaria psicomotricità, Simone sperimenta l’emozione
di essere parte della squadra.

Io e mia moglie - ha scritto sempre Fabrizio - vogliamo ringraziare gli allenatori e i ragazzi del Rugby Parabiago 1948 dove abbiamo trovato persone tecnicamente e umanamente di spessore.
Mentre parliamo, i bambini saltano gli ostacoli, si infilano nel tunnel, prendono confidenza con i palloni ovali,
sono concentrati, non vogliono perdere l’occasione di conquistarsi un nuovo sticker a fine allenamento. Un
applauso segna lo scadere del tempo, i genitori sono pronti ad accogliere i piccoli. Mentre ci salutiamo
penso al cerchio della vita, quella perfezione che ognuno di noi auspica per i propri figli. Quel cerchio che
ogni tanto la vita schiaccia sotto il peso di prove durissime fino a farlo a farlo diventare ovale. Per fortuna ci
sono posti in cui la palla ovale è l’inizio di un’avventura e non la fine di una storia. Quindi, Simone, benvenuto
al Tots!

 

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