Treviglio

Crisi dei bar: "Il mondo è cambiato: o ti adegui o chiudi"

Samuele Anghinoni, titolare del "Jammin' Cafè" di Treviglio, è intervenuto sulla situazione dei locali in provincia di Bergamo

Crisi dei bar: "Il mondo è cambiato: o ti adegui o chiudi"
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La crisi dei bar si fa sentire anche nella provincia di Bergamo dove, in dieci anni, sono andati persi qualcosa come 400 bar. Per leggere meglio una situazione che inizia a preoccupare ne abbiamo parlato con chi sta dall'altra parte del bancone.

L'intervista

In 17 anni è diventato punto di riferimento del centro storico. Nato con la doppia funzione di bar e negozio di dischi, ancora oggi la musica è ciò che contraddistingue il "Jammin’ Cafè" di piazzetta Santagiuliana e che lo fa emergere tra le offerte dei locali trevigliesi. Dietro il bancone c’è sempre Samuele Anghinoni, 45 anni, che ha avuto la capacità di sapersi rinnovare nel corso degli anni, per intercettare i cambiamenti che avvenivano al di là della vetrina ed evitare il destino che ha purtroppo accomunato tanti bar della Provincia.

Negli ultimi 10 anni sono andati persi quasi 400 bar nella bergamasca. Quali possono essere i motivi? Il mestiere di barista non ha più appeal?

"Non credo ci sia un declino di questa professione. Secondo me c’è stata una normalizzazione fisiologica dei bar. Quando ho aperto io nel 2007, avevo fatto un’analisi di mercato per capire se aprire o meno a Treviglio. Era emerso che in città c’era un rapporto abitanti/bar da località turistica. Numeri che forse avrebbero dovuto sconsigliarmi di iniziare questa avventura, perché erano dati da mercato saturo. Ciononostante col mio socio Emilio Nissoli (scomparso nel 2020, ndr), ci abbiamo provato lo stesso. Da allora, purtroppo o per fortuna, il mondo è cambiato e così anche Treviglio. E chi non l’ha compreso ha dovuto abbassare la serranda. All’epoca mi bastava aprire la porta e la gente entrava. Oggi devi 'convincere' le persone a venire da te. Non basta fare caffè e Spritz, devi dare altro. In questi anni Treviglio è diventata la residenza di persone che qui ci dormono e basta, perché passano tutta la giornata altrove. Non vivono la città. Prima c’era sicuramente più movimento durante tutta la giornata. Oggi non è più così".

Un ruolo decisivo può averlo avuto la pandemia da Covid?

"Sicuramente è stato uno spartiacque, che ha cambiato radicalmente il nostro lavoro. Per molti bar è stata una mazzata e chi è riuscito a tenere aperto ha dovuto reinventarsi e adeguarsi ai tanti cambiamenti che la pandemia ha portato. Noi stessi ci abbiamo pensato più volte sul da farsi. E’ stata una scommessa proseguire, tra l’altro in concomitanza con la morte del mio socio Emilio. Ma abbiamo dovuto cambiare pelle. La gente durante il lockdown ha scoperto che a casa si sta bene e che se non si esce si risparmia. Del resto come dare torto in un paese in crisi come l’Italia con stipendi sempre più bassi? Devi quindi essere bravo a far uscire di casa le persone. Come? Dandoti un’identità e sfruttando i social, di cui non si può più fare a meno. Noi abbiamo puntato sulla musica: vendiamo i vinili, organizziamo live e aperitivi musicali. E’ il nostro marchio identificativo".

Quindi il bar generico non può più esistere?

"Difficilmente. Può sopravvivere in montagna o in paesi piccoli dove non c’è granché da fare. In realtà in città come Treviglio forse i bar che gravitano attorno alla stazione possono permettersi di 'vivere di caffè'. Per gli altri, noi compresi, è un continuo adeguarsi ai cambiamenti. Chi non lo fa è destinato a chiudere".

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