Nel mondo di Sofia Goggia FOTO
Successi, incidenti e vita vissuta: intervista con la campionessa olimpica.
Vittoria storica per Sofia Goggia nella discesa libera alle Olimpiadi invernali di Pyeongchang. Nel mese di aprile l'atleta bergamasca ha incontrato a Bergamo il giornalista di BergamoPost e Corriere dello Sport Xavier Jacobelli per una lunga intervista. La sciatrice ha parlato della sua vita, dei suoi successi, ma anche delle delusioni e delle sofferenze del passato.
Diecimila passi con Sofia Goggia
L’appuntamento è alle dieci del mattino, sul Sentierone, nel cuore di Bergamo. Arriva leggermente in ritardo, preceduta da un sms: «Scusa, cinque minuti e ci sono. Sto parlando con una radio, quindi, quando arrivo, puoi trovarmi ancora dentro la macchina :-)». L’emoticon ti dà subito un’idea di Goggia. I diecimila passi con lei cominciano così. Zero formalismi. Attacca: «Posso darti del tu?». Rispondo: «Se tu lo permetti, certamente. Anche perché me l’hai già dato». Sorride. Le piace la proposta di andare a zonzo per Bergamo, il suo ombelico del mondo, per scoprire chi sia, a casa sua, il ciclone che ha sconvolto le gerarchie dello sci mondiale, riaccendendo la passione degli italiani per lo sci, come ai tempi di Tomba, della Compagnoni e della valanga azzurra. Sofia è spontanea. Immediata. Schietta. Dice ciò che pensa pensando a ciò che dice. Sempre. Non se la tira. Non la mette giù dura. Non si è montata la testa. «Sono rimasta la ragazza di Via Lavanderio, Val d’Astino, Bergamo. E non cambierò mai». Per questo buca il video, è felicemente mediatica, calamita positiva di attenzioni. Piace.
Cosa disse la Vonn
Le dico: «Sai quando abbiamo capito quanto tu stessi cambiando le cose? Quando, podio dopo podio, durante le riunioni di redazione abbiamo cominciato a chiederci: cosa ha fatto oggi la Goggia?». E lei, divertita: «Ah, sì? Ma non ricominciamo con la solfa della Goggia che ha già fatto meglio della Compagnoni, eccetera eccetera: ho vinto solo due gare di Coppa del Mondo, sono arrivata terza ai Mondiali, ho collezionato 13 podi, eppure mi ritengo ancora una Miss Nessuno. Non sono la prima in niente. Per ora». Strizza l’occhio. E sbotta: «Nel 2018 ci sono i Giochi, la Vonn mi aspetta. E anch’io. In Corea, dopo la seconda vittoria di fila, non ho capito bene se mi abbia detto: “I kill you”, ti uccido, o “You again”, ancora tu. La Vonn mi piace: è tosta, è dura, ma sa che cosa sia il rispetto. Abbiamo parlato molto, una volta, prendendo una seggiovia insieme».
Il problema al crociato
Noi invece, molliamo la macchina in Via Tre Armi, sotto le Mura e ci incamminiamo verso il cuore di Città Alta. L’aria di Sofia è trasognata: «Dovunque volga lo sguardo, questa è casa mia. Qui sono cresciuta, qui ho frequentato la scuola, qui conosco praticamente tutti. Bergamo è il mio gioiello e dietro l’angolo c’è Milano che mi piace sempre di più. Per non parlare di Roma: adoro Roma. E’ straordinariamente bella. Ma Bergamo è il mio nido, la mia terra». Confermo. Marco, l’edicolante di Colle Aperto , le fa: «Ehi, Sofia: finalmente sei tornata!». E lei: «Era ora». Si ride. Prendiamo un caffè? Alla Marianna, s’intende, uno dei posti più noti del Borgo Antico. Scusa, Sofia, mi spieghi come tutto sia stato possibile? Com’è che in un anno hai stravolto il mondo dello sci? Ma dov’eri stata per tutto questo tempo? «Ti giuro che non mi aspettavo nulla del genere, anche se, paradossalmente, ho cominciato a crederci quando ho fatto l’ultimo crociato. Il terzo. Accadde esattamente 730 giorni fa. Lo sai che volevo smettere? Ne avevo le tasche piene: dolore, operazione, rieducazione. Una tortura che non finiva mai. E invece…». E invece? «E, invece, ti sembrerà strano, ma , a mano a mano che dicevo in giro adesso smetto, sentivo dentro di me una voce che suggeriva di fare esattamente il contrario».
Pachi la lazzarona
E quindi? «E quindi ho cambiato registro. Quando avevo 14 anni, facevo la sciatrice cittadina. Ero una lazzarona. Ero cresciuta seguendo schemi motori monodirezionali. Traduco: faticavo ad allenarmi come dovevo. Il mio preparatore diceva: Sofia, sei un gatto di marmo. Sosteneva che avessi l’eleganza di un elefantino in un negozio di cristalleria. Mi chiamava Pachi». Pachi? «Sta per pachiderma. Carino, vero? Ma io sono una che ama prendersi per i fondelli. Fra le mie doti ci sono la erre moscia e l’autoironia». E poi, come ha fatto Pachi a diventare Goggia Superstar? «Usando al massimo la mia forza, facendo molta ginnastica acrobatica, saltando molto sul tappeto elastico». Si capisce perché, quando sei al cancelletto, sembri un razzo pronto al lancio…
Ho perso due stagioni
«Quando sono al cancelletto, non penso ad arrivare prima: penso ad andare giù come un missile. Sai, quando il ginocchio mi è saltato un’altra volta, avevo già in tasca il pass per i Giochi di Sochi: sei mesi di lavoro andati in fumo, due stagioni buttate, una rabbia dentro che non puoi immaginare. E la mamma che mi domandava: Sofia, non sei stanca di soffrire? Io ho una grandissima madre e un grandissimo padre. Lei prof di lettere, lui ingegnere che ama la pittura, anche mio fratello è ingegnere. Se mi seguono in giro per il mondo? No. Sono venuti al Sestriere e a Cortina ed è giusto sia così. Per me e per loro: per sette mesi noi viviamo in una bolla di vetro, fra gare, aerei, allenamenti, alberghi. Sai che cosa ho detto a papà, quando gli ho telefonato dalla Corea? Non vedo l’ora di tornare a casa per farmi un caffè con la mia moka e per berlo assieme a te e alla mamma. Amo tutte queste piccole cose di ogni giorno».
La cultura ci salverà
Camminiamo e parliamo. Via Colleoni, Piazza Vecchia, la Cappella Colleoni, il Duomo, il Liceo Classico Paolo Sarpi. Una signora ferma Sofia. L’abbraccia. «Che bello, rivederti», fa lei. E Sofia: «Che bello rivederti qui, nella nostra Bergamo». Un vicolo, una discesa, le Mura. Domando: sette mesi in giro per il mondo devono rendere piuttosto difficile seguire l’Università come vorresti… «Infatti. Per questo mi sono iscritta a un’università telematica, l’Unicusano di Roma. L’ho fatto per un mio arricchimento personale. Ho scelto scienze politiche: mi piacciono la filosofia, la politica, la filosofia della politica, la storia, la cultura. Sai che cosa dice l’amministratore delegato di una delle aziende mie sponsor? “Per ricostruire il nostro Paese bisognerà ripartire dalla cultura”. Ha ragione». Concordo: la marea dei somari è montante, in ogni ambito. Sia chiaro, anche nel nostro: in troppi sono convinti che il congiuntivo sia una malattia dell’occhio. Sogghigna. «Perdonami, ma ho l’impressione che buona parte dell’informazione sia omologata e sia scesa a un livello molto basso. Io vado alla ricerca di contenuti originali, interessanti, che valgano la pena di essere letti. Non ne trovo molti».
Web, webeti e leoni da tastiera
Che rapporto hai con il web? «Ho un profilo Facebook, Twitter, Instagram. Li uso, ma non mi lascio usare, anche perché la Rete ti toglie energie. Preferisco essere più social nella realtà». Ci sono webeti che ti martellano? O leoni da tastiera che ti fanno stalking? «Onestamente, no. Ti confesso che di post sgradevoli ne ricevo davvero pochi. Molti complimenti, tanti elogi, sprattutto dopo il colo doppio in Corea. Magari, qualcuno se la prende perché non ho il tempo di rispondere, ma non è un problema mio. Se non ho tempo, non ho tempo. Non trovi?».
Sfoglia il Corriere dello Sport-Stadio. Si sofferma sulle due pagine dedicate a Federer: «Che mito!». Riprendiamo a camminare. Si ferma. Improvvisa il rituale al cancelletto. «Primo: pugno sul petto. Secondo: sistemo il casco. Terzo: impugno i bastoncini. Quarto, sputo». Sputi? «Sì: o a destra o a sinistra. Porta bene». Ah, ecco. Prendiamo la funicolare che collega Colle Aperto, in Città Alta, a San Vigilio, uno dei colli di Bergamo. «Io abito poco distante da qui, in Val d’Astino: sai, dove c’è il monastero». Certo. Il monastero di Astino, fondato attorno al 1070 da alcuni monaci, guidati da Bertario, inviati a Bergamo da Giovanni Gualberto dei Bisdomini. Nel 2015 è stato restituito all’antico splendore. Astino è un luogo meraviglioso, un’oasi fra i boschi dell’Allegrezza e il colle della Benaglia.
Un posto zen
Sofia lo definisce: «Uno dei miei posti zen, dove posso pensare, meditare, giocare con Belle, il mio cane. E’ un pastore australiano». Perché l’hai chiamato Belle? «Perché anche in bergamasco ha lo steso significato. Anche se in bergamasco si scrive Bèl». Da Astino in Città Alta, percorrendo Borgo Canale, il panorama ti toglie il fiato. Noi, intanto, arriviamo a San Vigilio. Tappa obbligata al Baretto, una delle mete preferite di Sofia, un posto adorato dagli artisti e dagli innamorati. Beppe Acquaroli, il proprietario, non resiste alla tentazione del selfie, così come due signori che pranzano con vista su Bergamo Bassa. Ma l’approccio è discreto, educato, nella stessa misura in cui Sofia è sempre disponibile. Rimira il panorama. Si rilassa. «Sai una cosa? Mi sembra di essere in vacanza. E sai che quando il cielo è terso e la giornata luminosa, da qui con lo sguardo arrivi sino a Milano?». Confermo.
Non sono una Gold Tigger
Che rapporto hai con il denaro? «I miei guadagni sono pubblici. In questa stagione, sono arrivata a 260 mila franchi svizzeri, più della metà finiti in tasse. Non cambierò e non adatterò mai la mia vita al conto in banca. Non m’interessa. Adesso giro con la macchina di cui mi ha dotato la federazione, ma sapessi quanto ci sono rimasta male quando ho venduto la mia Fiesta, la mia prima auto. Mi piangeva il cuore. Non sono una spendacciona, non lo sono mai stata. Non sono una fanatica dello shopping, non soffro di shopping compulsivo. La società in ci viviamo è consumistica, poggia le sue basi sul potere monetario. Grazie ai miei, ho sempre goduto di un tenore di vita agiato, eppure, ho imparato sin da piccola a dare valore anche ai 5 euro, sapendo quanta fatica si faccia per guadagnare onestamente da vivere». Quando parla del rapporto fra l’uomo e il denaro, Francesco dice: «Il sudario non ha tasche». Intendendo che, nel momento in cui si arriverà davanti al Creatore, poveri o ricchi si presenteranno allo stesso modo. Senza nulla in tasca. Sei d’accordo? «D’accordissimo».
Credo in Dio e nel Vangelo
Sei credente, Sofia? «Sì, vado a messa tutte le domeniche, ogni volta che posso. Magari non faccio spesso la comunione, ma credo in Dio e nel Vangelo perché ogni volta mi carica. Mi offre sempre spunti di meditazione e di riflessione. Come domenica scorsa, con la resurrezione di Lazzaro. Sai, penso sia fondamentale per chiunque, in ogni ambito della vita, raggiungere l’equilibrio, la serenità interiore. Abbiamo dentro di noi una forza inimmaginabile. Dobbiamo imparare a conoscere il modo migliore per usarla. In questi anni, ho lavorato tanto su me stessa. Adesso, quando arrivo al cancelletto, sono molto più serena, molto più tranquilla di un tempo. Sono in pace con me stessa, così do il meglio. La differenza si vede. Questo mondo non mi piace così com’è. E’ avido di denaro e avaro di sentimenti. Invece, avrebbe bisogno di un’etica di vita corretta: prima di tutto verso se stessi e poi verso gli altri». Posso dire? Hai 24 anni, ma dimostri la maturità di una persona più adulta… «Davvero? Io però, ho sempre ragionato così, sin da quando avevo quattordici anni, credimi. In albergo, preferisco sempre dormire da sola. Intanto, perché sono una grande disordinata e chiunque si troverebbe a disagio in mezzo a tanto casino». Ride. «E poi…». E poi? «E poi amo stare da sola». È un antidoto contro l’invidia? «Può essere». Pensi di essere molto invidiata? «Abbastanza. Hai notato l’incrinatura del lunotto anteriore della mia auto?». Un sasso rimbalzato sul vetro? «No, souvenir di Sankt Moritz». Di qualcuno che non ti ama tanto o è schiattato per il bronzo? «Forse». Ma ti invidiano perché il tuo personaggio è esploso con una mediaticità inarrestabile… «Credo sia così. Ma non è un mio problema. Io non so che cosa sia l’invidia. Io sono abituata a misurarmi con me stessa. In fondo, basta essere se stessi. Io lo sono e lo sarò sempre».
Fiorello mi fa impazzire
Scendiamo da San Vigilio verso Città Alta. Gli argomenti si inseguono, si mescolano, si fondono. Le tv, le radio, il web, i giornali. C’è un’edicola che ti piace, oltre a quella di Colle Aperto? «L’Edicola Fiore. Fiorello mi fa impazzire. E’ un pazzo scatenato, è divertente, ironico, scanzonato. Se m’invita un’altra volta, ci rivado tutti i giorni e tiro su io la saracinesca. Dopo sette mesi sotto una campana di vetro, avevo proprio bisogno di un’immersione da Fiorello». Come si vive per sette mesi sotto una campana di vetro? «Bene, anche perché sai come funzioni il circuito della Coppa del Mondo. I ritmi sono incalzanti e, purtroppo o per fortuna, viviamo con il paraocchi, nel senso che sappiamo poco o nulla di ciò che succede nel mondo reale. Il nostro è un mondo parallelo e, soltanto quando la stagione finisce, riprendi i contatti. Torni a leggere, a informarti, recuperi i rapporti umani e sociali. Ritrovi il tempo per te stessa. Il tempo è il bene più prezioso che abbiamo».