I figli che siamo stati, i genitori che siamo: come sopravvivere nella giungla dell'educazione
Tutto esaurito, ieri sera, martedì 9 aprile, al secondo incontro del ciclo promosso dall'associazione Famiglie InForma di Treviglio
Tutto esaurito, ieri sera, martedì 9 aprile, al secondo incontro del ciclo promosso dall'associazione Famiglie InForma di Treviglio. Sala gremita, allo Spazio Hub di piazza Garibaldi, per ascoltare i consigli e le riflessioni delle esperte, le psicologhe e psicoterapeute Michela Corti - presidente dell'associazione - Nicole Adami e Martina Costa. Presente anche l'assessore ai Servizi sociali e vicesindaco Pinuccia Prandina che ha introdotto l'incontro.
Il figlio che sono stato
Il figlio che sono stato che genitore mi renderà? Parte da questa domanda l'intervento di Martina Costa per cercare di rispondere al tema dell'incontro "I figli del siamo stati, i genitori che siamo". Tutto sembra nascere da una predisposizione innata che ci spinge a creare un legame di prossimità con le figure principali di riferimento per garantirsi sicurezza e protezione dalla culla alla tomba. Questo attaccamento è estremamente importante in quanto ci permette di interpretare gli eventi, di crearci delle aspettative nella nostra vita relazionale.
Quando la mela cade lontano dall'albero
Quando si diventa genitori, però, esistono due alternative: rimanere fedeli alla famiglia di origine e fare le stesse cose o mettere in atto un comportamento correttivo e distanziarci dalla famiglia di origine, agendo in senso opposto.
"Dentro di noi c’è una parte bambina presente da sempre, in cui risiedono ferite, dubbi, incertezze - ha spiegato Costa - C’è anche la parte del genitore interiorizzato, che ci guida nel comportamento e ci aiuta a capire cosa è giusto o sbagliato. E' importante riscoprire e costruire la nostra parte adulta, ovvero il genitore di cui avremmo avuto bisogno da bambini, perché solo diventando consapevoli di quello che è stato, e accettandolo, possiamo essere in grado di fare qualcosa di diverso. Non è sempre detto che la mela non cade lontano dall’albero".
Dalla pedagogia nera alla disciplina dolce
“Per crescere un figlio ci vuole un villaggio”. Lo dice un proverbio ma a provarlo è la complessità dell'educare. I modelli educativi sono molteplici: si è passati dalla pedagogia nera all’iper-accudimento della disciplina dolce. Estremizzazioni che rendono complicato orientarsi.
La cosiddetta pedagogia nera prevede che i bambini crescano nell’obbedienza e nella paura, piegandosi ai dettami. È un regime di violenza e abuso che educa alla sottomissione. Si basava su punizioni corporali, menzogne e inganni, prevaricazioni, richieste eccessive, manipolazioni, ricatti emotivi e sfruttamento. La buona educazione è passata da forme di abuso emotivo e fisico per anni e anche laddove non vi fosse il ricorso alla violenza, la trascuratezza è stata la regola fino agli anni 80-90’.
Un lungo cammino di studi e ricerca che ha portato alla "disciplina dolce", trend attuale secondo cui i bambini vanno accontentati sempre nei loro bisogni che sono prioritari. Il genitore è chiamato all’ascolto per aiutare il bambino a sviluppare il suo potenziale, ma di contro porta il genitore ad avere paura a mettere delle regole e dei paletti e sfocia spesso in un’indulgenza pericolosa.
Bambini sempre meno autonomi
"In una società in continuo mutamento anche la cura dei figli non è rimasta la stessa. Basti pensare che negli ultimi cinquant'anni il tempo di cura dei figli è raddoppiato per le mamme e quadruplicato per i padri, in media più che in altri Paesi - ha sottolineato Nicole Adami - Tutto ciò sta creando paradossalmente una situazione per cui i bambini hanno sempre meno autonomia che in passato".
Il mondo che fa paura
"Frequentare i pari fin da piccoli permette di sviluppare quei muscoli sociali che in fin dei conti ci insegnano a vivere - ha proseguito Adami - Oggi per paura del mondo che c’è fuori e per un senso di sicurezza dato dall’averlo sempre a casa, si preferisce che i figli stiano a casa con il telefonino o la playstation. Il modo in cui veniamo cresciuti, accuditi, il modo in cui gli adulti rispondono ai nostri bisogni primari, creano degli schemi interiori che si attivano in modo automatico e inconsapevoli nelle relazioni. Danno luogo a idee di noi, reazioni emotive e corporee e credenze sugli altri che sono automatiche".
I genitori che saremo...
Essere genitori è il "lavoro" più difficile. Una relazione, quella con i figli, che è la più potente di tutte, ma su cui grava l'iper responsabilità la paura di "rovesciare" addosso a loro tutte le fragilità che ci portiamo dentro.
Chi si è totalmente adeguato alle aspettative dei genitori si aspetta che i suoi figli facciano altrettanto.
Chi era ribelle e fatica ad adeguarsi alle esigenze altrui, di conseguenza fa fatica ad adeguarsi ai figli.
Chi non è stato visto nei suoi bisogni può aspettarsi che sia invece il figlio a soddisfare i suoi bisogni o compensa diventando iper-protettivo.
Chi ha avuto delle aspettative deluse e proietta i suoi sogni sui figli.
La nostra famiglia
"Non possiamo crescere, svilupparci, individuarci prescindendo dalla nostra famiglia d’origine - ha puntualizzato Michela Corti - Non possiamo comprendere appieno noi stessi se non conosciamo il mondo da cui proveniamo, le persone, le relazioni che ci hanno preceduti e di cui siamo frutto, nel bene e nel male".
Nel contesto familiare di appartenenza si possono trovano risorse, limiti, possibilità e vincoli, lealtà e libertà.
"Guardare indietro nella nostra storia non vuol dire per forza cercare dei colpevoli, lo scopo è capire le dinamiche da cui si sono generate delle situazioni e raggiungere la consapevolezza per cui tutti gli attori di allora hanno agito nell’unico modo che potevano allora", ha spiegato introducendo quel concetto per cui riconoscere e accettare ci porta a rielaborare.
"Rielaborare significa dare valore e significato ciò che si è vissuto, accogliendo emozioni talora intense e disturbanti e imparando ad agire diversamente - ha evidenziato - Cominciare a ri-conoscere la realtà, chiamare le cose con il loro nome, assumersi delle responsabilità di cambiare ciò che non si ritiene adeguato a sé, riconoscendo e prendendo quanto di buono ci è stato dato e lasciando andare ciò che invece sentiamo non appartenerci".
L'influenza: modelli e valori
La famiglia ci influenza in modo esplicito, ma soprattutto implicito. Basta fermarsi a riflettere sulla propria esperienza per notarlo. Lo fa nei ruoli - ad esempio la madre che cura i figli, il padre che contribuisce al benessere economico - oppure nel contesto, ad esempio quando alla morte del padre, un fratello si prende cura di tutti gli altri fratelli e diventa il capo famiglia, o ancora alle aspettative che spesso si trasformano i mandati familiari: "se non fai una famiglia sei un egoista", e così via.
Ci influenza anche su credenze e sistemi di valori: il lavoro come sacrificio, vivere tutto come una competizione, vivere esperienze o raggiungere traguardi (una laurea, un viaggio all'estero etc) solo perché sono stati vissuti e raggiunti a loro volta dai genitori. E può capitare che un membro della famiglia manifesti un bisogno che entra in contrasto con i miti familiari fino ad essere etichettato come sbagliato, strano, diverso dagli altri. Insomma, la pecora nera.
Azioni positive
Come fare, allora, per sopravvivere in questa giungla? Secondo la scienza dello sviluppo l’educazione passa per più elementi:
- avere poche regole e limiti, chiari e stabili.
- avere conoscenza di quali sono i bisogni basilari dei bambini.
- saper comunicare in modo assertivo
Il prossimo appuntamento si terrà il 7 maggio alle 20.30, sempre nello Spazio Hub di piazza Garibaldi, per parlare di "Ansia e dintorni".
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