16 gennaio

Oggi è il Blue Monday: il giorno più triste dell'anno o il momento di ripartire?

E' tutta una gran bufala: una trovata pubblicitaria ideata nel 2005. Ma il disagio e la depressione sono veri e si può chiedere aiuto.

Oggi è il Blue Monday: il giorno più triste dell'anno o il momento di ripartire?
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E' lunedì e per molti già solo questo basterebbe a definirlo un giorno triste. E' gennaio, le vacanze sono finite, il rientro al lavoro è ormai consolidato, riprende la monotonia, fa freddo (oggi al risveglio ci ha accolto anche la nebbia) e le ore di luce non bastano - e comunque manca il sole - per sentirsi attivi. Non vi basta: le bollette pesano, quest'anno anche più del solito visto il caro energetico, scadenze, tasse e rinnovi sembravano aspettarvi in agguato. E i buoni propositi? Sembravano assolutamente fattibili fino al 31 dicembre, forse anche fino al 6 gennaio. E poi? La voglia "scappa" e il rischio di non portarne a termine nemmeno uno è davvero alto. Ecco perché oggi, il terzo lunedì di gennaio è il Blue Monday, il "giorno più triste dell'anno".

Blue Monday, il giorno più triste dell'anno?

Calcolato sulla base di un’equazione dallo psicologo Cliff Arnall dell’Università di Cardiff, è stato individuato come il giorno più infausto. Dunque, il momento giusto per ripartire. Ma volete sapere una cosa? E' tutta una gran bufala: una trovata pubblicitaria per spingere le persone a prenotare viaggi per evadere dalla monotonia. Terreno fertile per il marketing, non c’è dubbio. Di scientifico c’è poco.

Sempre più richieste di aiuto

Cinzia Sacchelli

Quello che non è di certo una bufala e non fa sorridere è invece l'aumento delle richieste di aiuto e di sostegno psicologico. Un quadro preoccupante tracciato dal direttore del servizio di psicologia clinica dell'Asst Crema, Cinzia Sacchelli: “Blue Monday, il giorno più triste dell’anno? Una trovata ricca di colore, che rientra nell’ambito della pseudoscienza o meglio nel costume della nostra società, ma che ha in sé alcuni elementi di realtà che possono essere descritti”.

"Quel che è vero – spiega Sacchelli – è che le vacanze natalizie, al pari di tutto ciò che ci porta fuori dalla normalità, alterano la percezione. Lo stesso è avvenuto nel periodo post lockdown. Tutti abbiamo fatto fatica a rientrare, a rimetterci in gioco, a vivere una realtà meno autogestita e più richiedente. La routine quotidiana pretende ed è rapida. Lo vediamo e lo viviamo tutti, al lavoro o a scuola”.

Quando le vacanze "fanno male"

Dopo le vacanze si è registrato un aumento di richieste di aiuto.

"Il tempo trascorso in famiglia durante le feste può far emergere elementi di difficoltà - ha aggiunto - Confrontarsi con un tempo festoso quando non c’è niente da festeggiare o quando mancano le persone con le quali fare festa può far percepire questo come un periodo particolarmente stonato”.

A ciò si aggiungono i segni lasciati dalla pandemia: “sono aumentati gli stati di ansia e depressione. Per i minori anche comportamenti disregolati che portano alla messa a rischio di sé”. Ma la pandemia “non è l’unica causa”.

"Certo, ha esasperato alcune tendenze in un clima di malessere generale - ha spiegato - Se è vero che alcune difficoltà sono sorte con la fine del lockdown, dopo che alcune persone avevano iniziato a godere del rapporto inibito con la realtà esterna, è vero anche che alcune responsabilità sono da imputare all’evoluzione sociologica della realtà che ci troviamo a vivere. La nostra è una società sempre più narcisistica, consumistica, che educa alla soddisfazione dei propri desideri in modo quasi istantaneo. La gamma di opportunità è sempre più ampia, questo non fa sperimentare l’attesa, lo sforzo, la fatica. Si alimenta l’idea di poter avere tutto subito, con un’insofferenza al vincolo o alla messa in gioco. L’attesa è poco tollerabile”.

Il disagio giovanile c'è da decenni

Il problema non è solo giovanile, ma "anche giovanile”. Il tema del disagio tra i ragazzi, infatti, esiste da decenni, non è un male della nostra epoca.

“Negli ultimi anni è aumentato lo stato di malessere della popolazione generale e giovanile: il fenomeno si è quindi esteso. Di contro, però, va detto che si sono fatti passi avanti dal punto di vista culturale: oggi c’è una maggiore consapevolezza del tema ed un ridotto pregiudizio a chiedere aiuto”.

Il servizio di psicologia clinica punta a fare rete, a creare una connessione tra gli interventi psicologici svolti nei vari ambiti, ospedalieri o territoriali.

“In passato si operava a compartimenti stagni, ora abbiamo compreso che l’obiettivo non è curare una patologia, ma prendersi cura di una persona, quindi non è possibile immaginarsi una presa in carico isolata e non dialogante”.

Approccio olistico nelle Case di comunità

L’approccio olistico è, quindi, finalizzato “ad assicurare una continuità”. La più recente riforma regionale promuove la presenza degli psicologi nella Casa di comunità. In via Gramsci, il servizio punterà “a potenziare gli interventi psicologici di primo livello”. Lo psicologo nella Casa di comunità diventa “un anello di congiunzione con la prevenzione, con i medici di base ed i pediatri di libera scelta”.

In equipe verrà integrata anche la figura dello psicologo di comunità “agisce nei contesti esterni, in comunità, appunto. Da questo punto di vista sono già in corso interlocuzioni con gli psicologi scolastici”. Perché il benessere non è un punto d’arrivo, ma parte della nostra quotidianità, una condizione da costruire ed abbracciare, della quale prendersi cura ogni giorno.

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