La piccola Diana, abbandonata e morta di stenti a 18 mesi, era stata sedata con ansiolitici
Le analisi smentiscono la ricostruzione della madre, che invece aveva sempre sostenuto di averle dato solo paracetamolo.

Le prime analisi del sangue ne avevano rilevate tracce, ma ora c'è anche la certezza: la mamma della piccola Diana, morta di stenti nella sua casa di Milano dopo essere stata abbandonata a casa a soli 18 mesi di vita, le aveva dato degli ansiolitici. Lo rivelano gli accertamenti effettuati sui capelli della piccola: esami che smentiscono, spiega PrimaBergamo, le parole della madre Alessia Pifferi, la quale aveva sempre sostenuto di aver dato a Diana "solo del paracetamolo" prima di spostarsi da Milano a Leffe, in Val Seriana, dove il compagno la stava aspettando. Invece l'aveva sedata, e lasciata morire di stenti nell'appartamento di Milano mentre lei, per sei giorni, si era allontanata per stare con il compagno nelle valli bergamasche.
Diana, trovata senza vita il 20 luglio, abbandonata da sei giorni
Il biberon con le tracce della sostanza era proprio vicino alla bimba quando il suo corpo è stato rinvenuto senza vita il 20 luglio scorso. Tuttavia, la madre aveva sempre negato e anche gli avvocati difensori Solange Marchignoli e Luca D'Auria avevano abbracciato la sua linea. La difesa riferisce che Pifferi ha inviato più di cinquanta pagine di diario per dichiarare la propria innocenza all’ex capo dei Ris dei carabinieri Luciano Garofalo. Da lui dipendevano infatti gli accertamenti biologici e chimico-forensi sul biberon e la boccetta di ansiolitico, "En", trovati in casa.
Non era la prima volta
Non era la prima volta che Diana, a un anno e mezzo di vita, veniva lasciata a casa da sola. Alessia Pifferi talvolta si allontanava per il week-end e poi tornava. L’ex marito non era il padre della piccola (nata prematura) e a lungo la donna aveva vissuto con sua madre, la quale pare che da poco si sia trasferita a Crotone.
Una situazione complessa dunque, cui si è aggiunta la nuova storia con l’uomo di Leffe, di venti anni più grande, dal quale si recava spesso, talvolta accompagnata, talvolta senza la bambina. A dare l'allarme, quel terribile mercoledì di luglio, era stata la vicina di casa, alla quale la trentasettenne aveva chiesto aiuto, una volta che, rientrata a casa dopo i giorni passati in Val Gandino, si era accorta dello stato della piccola.