Lo sfogo di un’infermiera bergamasca: «Noi lasciati da soli, traditi e derisi»
"Siamo ancora legati al valore e al significato che assume quella divisa, quando la indossiamo. Ci crediamo ancora. Ma mayday, mayday: qui stiamo affondando"

Sanità pubblica e Covid: dopo due anni in trincea, il personale medico e infermieristico è a un passo dallo stremo. Non è una novità, purtroppo: da mesi si moltiplicano un po' in tutta Italia le segnalazioni di disagi, anche pesanti, dentro e fuori i reparti che nel corso della pandemia hanno visto l'inferno in terra e che ora, a pandemia quasi finita, hanno "le ossa rotte". Un tema che fa da sfondo, inevitabilmente, a pressoché tutti i dibattiti aperti in questi mesi sulla Sanità pubblica post-pandemia. Riceviamo e pubblichiamo la lettera, disperata, di un'infermiera bergamasca, che ancia un allarme e chiede, prima di tutto, di essere ascoltata.
"Ancora una volta ce l’abbiamo fatta. Per la quarta volta in due anni ce l’abbiamo fatta. E solo grazie a noi. Solo grazie alle nostre forze e al nostro senso di responsabilità. Perché dall’alto, dai troni dove sono seduti i comandanti che pretendono ubbidienza invece che collaborazione, non è giunto alcun aiuto, nonostante le nostre ripetute richieste, di giorno, di notte, per molte settimane.
Siamo stati lasciati soli. Ci siamo sentiti rifiutati, derisi, sfruttati, traditi, accusati di non saper lavorare, di non capire. Di non capire… Chi ha capito noi quando il fine turno non era per l’ennesima volta davvero la fine del turno? Chi ha capito noi quando tante erano le lacrime e poche le energie rimaste? Chi ci ha visto lavorare con i mal di testa e i mal di schiena, le ossa rotte, i muscoli dolenti, e ne ha avuto rispetto o anche solo pietà?
Mayday, mayday, qui stiamo affondando, venite a salvarci! Nessuno… Abbandonati. Nessuno ci vede, nessuno ci sente. Ma non siamo venuti meno al senso del dovere e di responsabilità. Non abbiamo abbandonato i nostri pazienti. Non li abbiamo privati delle cure e delle attenzioni necessarie. Non abbiamo fatto agli altri ciò che hanno fatto a noi. Siamo ancora legati al valore e al significato che assume quella divisa, quando la indossiamo. Ci crediamo ancora.L’infermiere non ha paura del lavoro. L’infermiere è stanco di non avere le condizioni per lavorare al meglio, per curare al meglio. E’ stanco di sentirsi tradito, di sentirsi schiavo del potere aziendale, dei dirigenti di un ospedale pubblico governato come un privato, succube delle imposizioni, senza diritto di parola. Già, senza diritto di parola. Chino la testa e taccio. Io non ho diritto di parola…
Un’infermiera della provincia di Bergamo