Treviglio sotto shock

Addio a mamma Manuela, monsignor Donghi: "Dobbiamo imparare a governare il nostro istinto"

Basilica gremita oggi per l'ultimo saluto alla 43enne uccisa con una coltellata dalla figlia 15enne. Anche per lei una preghiera: "Signore prega per lei".

Addio a mamma Manuela, monsignor Donghi: "Dobbiamo imparare a governare il nostro istinto"
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Si sono svolti poco fa i funerali di Manuela Guerini, la mamma 43enne, uccisa con una coltellata dalla figlia 15enne al culmine di una banale lite casalinga la sera del 14 agosto scorso. Gremita la basilica di San Martino, in pieno centro a Treviglio, che ha ospitato i tanti amici e conoscenti ancora increduli.

Il male e la pietà

La bara, sormontata da un bouquet di rose bianche, come bianchi sono anche i fiori sull'altare. In prima fila, attonita, la mamma Bruna e il fratello di Manuela, Mirko. Presenti alla celebrazione il sindaco Juri Imeri e la vicesindaco, assessore ai Servizi sociali, Pinuccia Prandina.

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Il parroco monsignor Norberto Donghi, che ha officiato la cerimonia, fin dalle sue prime parole all'inizio della celebrazione, ha parlato dei "sentimenti contrastanti" che si presentano al nostro cuore, di fronte a quanto accaduto a Manuela.

"Abbiamo visto queste cose in televisione, ma ci sono sempre sembrate lontanissime - ha detto - Ci sembrava impossibile che potessero succedere nella nostra città. È il mistero del male, che ci presenta la sua faccia più oscura e incomprensibile. Il nostro cuore è pieno di dubbi, ma che senso avrebbe trovarci qui con Manuela, di fronte al gesto scriteriato che l'ha uccisa, se non sapessimo che la misericordia di Dio è più grande di tutto ciò?"

Ma è la pietà, la cifra che supera e ricompone una famiglia distrutta. Le preghiere dei fedeli citano anche la figlia 15enne. "Signore, prega per lei, per quello che è successo".

"Da una tragedia come questa non possiamo non imparare qualcosa - prosegue monsignor Donghi - Ad essere più capaci di dominare il nostro istinto. Troppo spesso l'arroganza, l'aggressività, persino la violenza ci governano, li confondiamo con la spontaneità. La storia di Manuela ci deve insegnare a dominare noi stessi. Abbiamo l'ansia di controllare tutto, di cambiare il mondo. Ma gli unici che possiamo cambiare, siamo noi stessi".

Una città sotto choc

Una città attonita per la morte di Manuela e angosciata per il futuro della sua giovane figlia. Sono tutti dello stesso tenore, in città, in questi giorni, i commenti sull'omicidio di via Butinoni.
Al cancello del cortile dove si è consumata la tragedia, qualcuno ha appeso una rosa bianca. Qualcun altro, un piccolo fiore rosa in vaso, con una candela bianca e una scritta a penna su un foglio di carta: "Ciao Manù". Chi la conosceva non può credere a quanto accaduto.

"Viveva per la sua bambina"

"Viveva per la sua bambina, la sua bambina l'ha uccisa - racconta incredulo un amico d'infanzia di Manuela, Matteo Bordegari - Ci conoscevamo ed eravamo amici da sempre, fin dall'infanzia - prosegue - Ed era una donna solare, luminosa, sorridente, che amava la sua bambina. Non posso credere a quello che è successo".

Impossibile, probabilmente anche inutile, è cercare di scavare «da fuori» nel quadro familiare, cercando ragioni di un gesto che tutti giudicano imprevedibile.

"Manuela veniva al bar due o tre volte a settimana, era una cliente abituale - racconta il titolare del bar sotto casa, il "Betty" di via Verga - Si fermava con Matteo o con qualche amico, in serata, per una birra o un aperitivo in compagnia. Una ragazza tranquilla. Mai avremmo potuto immaginare una cosa del genere".

"E' mia nipote, me ne prenderò cura"

Le stesse parole che ripete, davanti alle telecamere che da giorni stanno presidiando i luoghi della tragedia, il fratello della vittima, Mirko Guerini.

"Manuela non c'è più ma c’è mia nipote - ha commentato - Sono l’unico zio e quindi è giusto che mi prenda carico di lei, anche nel ricordo di mia sorella".

Verso il trasferimento in comunità

Sul futuro della piccola, però, non ci sono ancora certezze. Intanto, è stata disposta una perizia psichiatrica sulla ragazza, che sarà determinante probabilmente per definire quale decisione prenderà il Tribunale nei suoi confronti.
Tra le prassi più diffuse, in questi delicatissimi casi di giustizia penale minorile, c’è spesso quella di un affidamento "in prova", che le eviterebbe il carcere e che invece potrebbe tracciare un percorso di rieducazione e di reinserimento graduale nella società, a partire da una comunità protetta per minori responsabili di reati di questa gravità. Un percorso lungo e faticoso, senza ombra di dubbio, che potrebbe richiedere diversi anni.
Meno probabile, secondo gli esperti, è invece la soluzione del carcere minorile. Ma tutto dipenderà dalle valutazioni che la Procura dei minori acquisirà e valuterà nelle prossime settimane.

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