Treviglio

Il "medico di campagna" senza morti per Covid-19: la storia di Giancarlo Damiani

Come tantissimi colleghi ha affrontato il "peggio" del Covid-19, questa primavera: "Ho attraversato l'inferno a piedi nudi". Ci ha raccontato come, visto che i suoi risultati sembrano sfidare le leggi probabilistiche.

Il "medico di campagna" senza morti per Covid-19: la storia di Giancarlo Damiani
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"Sono un  medico di campagna, non un supereroe, e sicuramente sono anche stato fortunato".

Cinquantacinque anni, da quattro medico di base a Treviglio, nella palazzina di Ygea in viale Piave, il dottor Giancarlo Damiani è uno dei tantissimi medici in prima linea contro il Coronavirus, nell'ultimo anno. Ma a differenza della stragrande maggioranza dei colleghi, detiene in città un primato che sembra sfidare le leggi della probabilità. Il conto dei suoi pazienti morti di Covid-19, dall'inizio della pandemia, è fermo sullo zero ormai da febbraio 2020. Nessun morto per Coronavirus, su circa duemila pazienti.

L'abbiamo intervistato sul numero in edicola del Giornale di Treviglio.

Dottor Damiani, com'è stato possibile?

Non mi sono dato una vera spiegazione. Sono stato fortunato, sicuramente. E ho usato il buon senso, seguendo i protocolli ma anche capendo da subito, in quelle primissime settimane, che stava succedendo qualcosa di strano. Ho prescritto pochi farmaci, ma ho raccomandato a tutti una tecnica particolare per rallentare la diffusione della polmonite: la pronazione. Sembra una cosa stupida, ma è il motivo per cui nelle Terapie intensive vediamo i pazienti sdraiati sul petto, al posto che sulla schiena.

Come è andata? Come ha vissuto quei mesi?

Faccio il medico di base a Treviglio da quattro anni. Prima, per anni, mi sono occupato di Ecografia multidisciplinare. Le racconto questo perché proprio a Bergamo, nel 2003, mi era capitato di vedere alcuni casi di Sars. Ecco, la Sars-Cov-2 in fondo, com'è noto, è quasi la stessa cosa. Ricordo esattamente quel giorno, era sabato 22 febbraio. Da qualche giorno stavo continuando a vedere casi di polmonite piuttosto gravi, uno dietro l'altro. Così ho mandato un messaggio ad alcuni colleghi. Ci siamo visti per una colazione al bar vicino allo studio, da Sonia. Cappuccio, brioches. E abbiamo discusso della situazione. Per molti di loro non era il caso di preoccuparsi... Dicevano che mi ero soltanto spaventato. Ma stava davvero per succedere qualcosa. Proposi comunque di creare, già in quei giorni, qualche dispositivo per evitare gli assembramenti nella nostra struttura. E poi nel giro di pochi giorni è successo quello che sappiamo.

Leggi l'intervista completa sul Giornale di Treviglio in edicola oppure QUI

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