La protesta

Covid-19, la Cina non vuole più i maiali italiani (e per la pianura è un grosso problema)

In Bergamasca si allevano oltre 300mila maiali e quello cinese è "un mercato fondamentale" spiega l'assessore regionale Fabio Rolfi.

Covid-19, la Cina non vuole più i maiali italiani (e per la pianura è un grosso problema)
Pubblicato:

Due container contenenti carne suina congelata sono stati fermati, il 3 gennaio, dalle autorità doganali cinesi in quanto ritenuti "rischiosi" per la diffusione della pandemia. La denuncia viene dall'Opas, Organizzazione prodotto allevatori suini, che ha scatenato dure reazioni da parte di diversi attori del settore.

La minaccia del blocco

Le autorità cinesi minacciano ora di bloccare le esportazioni di carne italiana e di distruggere tutta la merce congelata arrivata in container al porto di Yantian.

La Bassa e i maiali

Un eventuale blocco del mercato cinese della carne suina sarebbe infatti un grosso problema per la Lombardia, che ha un patrimonio suinicolo di 4.493.125 capi pari al 52,6% del totale nazionale. E in particolare per la provincia di pianura e per la Bassa bergamasca, che ospita la stragrande maggioranza dei circa 300mila suini allevati in provincia di Bergamo.

I maiali nelle provincie lombarde

Gravi danni economici sarebbero subiti anche dalle provincie di Brescia (1.356.038 capi), Cremona (969.149 capi), Lodi (356.688 capi), Mantova (1.190.459 capi) e Pavia (233.078 capi)

Le reazioni in Italia

Oggi sulla vicenda è intervenuto anche l'assessore regionale lombardo all'Agricoltura Fabio Rolfi, mentre ieri ne aveva parlato anche Ettore Prandini, presidente di Coldiretti.

Coldiretti: "Un'accusa paradossale e palesemente infondata"

"È grave il blocco delle esportazioni di carne suina italiana attuato dalla Cina con il pretesto dei rischi per il contagio da Covid a pochi giorni dalla firma dell'accordo sugli investimenti tra Cina e Unione europea giustificato dall'obiettivo di favorire un maggiore accesso al mercato secondo lo stesso presidente cinese Xi Jinping" ha commentato ieri Prandini (Coldiretti). Si tratta di "un'accusa paradossale e palesemente infondata che viene da un Paese sul quale pesa peraltro l'ombra dell'omertà sulla pandemia, come dimostra la partenza per la Cina dell'equipe di scienziati dell'Oms per investigare sulle origini del Covid, senza aver ottenuto ancora il via libera di Pechino".

Danno al made in Italy

"Un grave danno per l'agroalimentare made in Italy che ha investito sulle prospettive di crescita delle esportazioni sul mercato asiatico" prosegue Prandini chiedendo "l'intervento delle autorità nazionali e comunitarie".

Il timore è quello che "dietro la decisione cinese ci sia in realtà la volontà di creare ostacoli per sostenere la produzione locale di carne suina, come dimostrano gli ingenti acquisti di alimenti effettuati sul mercato internazionale dal gigante asiatico.

Rolfi: "Quello cinese è un mercato fondamentale"

"Il mercato cinese è fondamentale per la suinicoltura lombarda e italiana, soprattutto per quanto riguarda le parti del maiale non interessate dalla filiera del prosciutto. La Lombardia è la prima regione d'Italia, alleviamo più della metà dei suini nazionali. Chiediamo al Governo italiano di alzare la voce contro il blocco cinese delle importazioni della carne italiana - ha detto invece Fabio Rolfi - I rapporti economici con la Cina sono sempre stati positivi e vogliamo proseguire la collaborazione perché le nostre aziende non possono prescindere da sbocchi commerciali così importanti. Per questo è inaccettabile associare la diffusione del Covid alla carne suina lombarda. Ho chiesto al console di evidenziare queste problematiche al proprio governo nel solco della consolidata collaborazione tra Lombardia e Cina in ottica di interscambi commerciali. Il problema deve essere risolto il prima possibile e queste ombre devono essere scacciate perché diffondere notizie false crea un danno d'immagine incalcolabile".

TORNA ALLA HOME

Seguici sui nostri canali