Treviglio

Per Irene, medico in prima linea, un'ondata di affetto dalla piccola Viola FOTO

"Tornando dal lavoro in una casa vuota non facevo altro che rivivere ancora e ancora quello che avevo affrontato in ospedale. Ma Viola ha riacceso la speranza".

Per Irene, medico in prima linea, un'ondata di affetto dalla piccola Viola FOTO
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Biglietti, piccoli lavoretti con i colori dell'arcobaleno, la speranza dei più piccoli e il loro modo tenero e sincero di dire grazie. E' quello che ha trovato più volte alla porta di casa Irene Nasone, giovane dottoressa di pronto soccorso impegnata in prima linea nella lotta contro il Covid-19. 

Messaggi d'affetto per la dottoressa

Una storia che Irene ha voluto diffondere per raccontare la sua storia fatta di accoglienza e solidarietà. Calabrese di nascita, Irene da meno di un anno lavora in Lombardia, in provincia di Bergamo. In questa lotta al Covid-19 Irene ha prestato e sta prestando servizio all'ospedale di Treviglio. Dopo aver letto alcuni articoli in cui medici e infermieri venivano presi di mira dai vicini di casa attraverso biglietti e lettere ha deciso di mostrare ciò che lei ha trovato al suo ritorno a casa definendosi fortunata: "Bergamo e i bergamaschi mi hanno donato il loro cuore e io non posso che esserne grata". 
E, a onor del vero, nella bergamasca di testimonianze di affetto verso i medici ce ne sono state moltissime, dagli striscioni appesi fuori dall'ospedale e sui balconi delle città, alle donazioni di dolci e prelibatezze arrivate ai medici e agli infermieri dai negozi di tutta la Bassa.

"Il bene c'è, bisogna raccontarlo"

"In un periodo storico in cui sembra essere riemersa la differenza tra “nord e sud”, in cui i medici e gli infermieri vengono visti come pericolosi untori ai quali lasciare messaggi minacciosi nella cassetta delle lettere, esistono anche esempi di bellezza. Ed è giusto parlarne perché il bene va raccontato, almeno ogni tanto per ricordarsi che c’è. Sono un medico in formazione specialistica in medicina d’emergenza, al primo anno. Da circa sei mesi mi trovo a Treviglio e sto lavorando nel pronto soccorso di quello che è diventato a tutti gli effetti un ospedale per pazienti Covid-19. Sono originaria di Reggio Calabria e qui sono sola, senza parenti o amici. In questi mesi mi sono ritrovata ad affrontare situazioni che non avrei mai potuto immaginare.
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Lo strazio in ospedale e la gioia a casa

Tornando a casa dal lavoro in una casa vuota non facevo altro che rivivere ancora e ancora quello che avevo affrontato in ospedale. Rivedevo continuamente quei corridoi invasi dalle bombole di ossigeno, quelle barelle piene di sguardi impauriti, quelle mani “sporche” che nessuno poteva stringere se non attraverso degli sterili guanti. In mezzo a tutto quel dolore si inseriva il sorriso quotidiano di quando tornando a casa trovavo dei bigliettini attaccati alla porta. Erano da parte dei miei vicini, persone che io non conosco e che non ho mai visto di persona. Avendo saputo il lavoro che svolgo, hanno pensato di starmi accanto attraverso dei pensieri e qualche piccolo regalo. Chi scrive è Viola, una bambina di 8 anni che mi chiede come sto, come è andata a lavoro e conclude ogni lettera con un arcobaleno. In questo difficile periodo lei mi ha fatto compagnia, mi ha insegnato ad attendere quell’appuntamento epistolare con gioia, immaginando una realtà a colori. Mi ha regalato la sua amicizia con una spontaneità disarmante riaccendendo in me un sentimento di speranza, come solo i bambini sanno fare".
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