Storia

"Io, testimone del massacro": Sergio Vidal ricorda il dramma dell'esodo

Ha 76 anni e vive ad Agnadello: ha preso parte all’inaugurazione della mostra sulla tragedia degli istriani domenica scorsa, a Pandino.

"Io, testimone del massacro": Sergio Vidal ricorda il dramma dell'esodo
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"Il massacro delle foibe c’è stato, io da bambino sono stato un testimone per caso". Si è presentato così Sergio Vidal, 76enne esule residente ad Agnadello, che ha preso parte all’inaugurazione della mostra sulla tragedia degli istriani domenica scorsa, a Pandino. Un intervento, il suo, che ha reso ancora più tangibile lo tsunami che ha travolto centinaia di migliaia di italiani fuggiti dai territori finiti sotto il controllo dell’ex Jugoslavia di Tito.

Nel Giorno del ricordo: "Io, testimone del massacro"

"Ho lasciato Buie d’Istria, ex zona B dell’ex territorio libero di Trieste, dopo aver finito il liceo scientifico, nel 1965 - ha raccontato con voce rotta - avevo iniziato la facoltà di Pedagogia all’università a Pola ma non più in italiano, in serbo-croato. La vita era impossibile. Sentirsi stranieri in patria è una cosa insopportabile. Ci trattavano male, si comportavano da padroni e se si parlava italiano non rispondevano. Con il regime non si potevano intraprendere attività economiche private con più di sette-otto dipendenti, poi talmente tante erano le tasse che si chiudeva. I contadini finivano a lavorare nelle cooperative agricole. Era necessario avere la tessera, per votare venivano a prenderti a casa e sulla scheda c’era solo un partito. Noi italiani eravamo considerati fascisti per forza, anche tra amici quando si parlava di politica era così. E pensare che da ragazzino nemmeno sapevo cosa volesse dire veramente: sui muri era scritto “W Tito” e conoscevamo solo quello che ci veniva detto. Sull’abecedario delle elementari in ogni pagina c’erano Tito piuttosto che una cooperativa, e la Storia erano le vittorie contro il Fascismo. A casa, invece, mio nonno mi parlava di Cavour e di Garibaldi".

È stato lacerante lasciare tutto e gli occhi di Vidal si sono fatti lucidi.

"I miei genitori dicevano che erano felici che mi salvassi almeno io - ha continuato - loro sopravvivevano, potevano mantenere solo pochi ettari di terra. Non si trovava niente: ricordo un giorno in cui una donna in fondo alla contrada ha chiamato mia madre: “Rosetta, vien che zè arrivat ‘l suchero”. Prima di me se n’era andato il fratello di mio nonno, lo ricordo alzare il cappello mentre il camion si allontanava, pieno di masserizie che sperava di portare nella nuova casa. Invece andava tutto a finire nei depositi del porto di Trieste. Gli altri familiari sono rimasti ancorati all’Istria, ho ancora due sorelle là".

L'esodo e l'accoglienza in Italia

L’esodo è stato un Calvario.

"Sono finito in un centro di raccolta profughi a Cremona con una ventina di altri scapoli, nella camerata di una vecchia caserma - ha spiegato - le famiglie invece erano stipate in stanzette di tre metri per tre senza tetto, con pareti fatte di cartongesso o di coperte appese a un filo. Sono rimasto cinque o sei mesi in attesa dell’ufficialità della cittadinanza italiana, poi sono arrivato a Melzo, un anno dopo ho fatto il militare e al ritorno ho conosciuto mia moglie e mi sono trasferito ad Agnadello, nel 1973. L’esodo non si è concluso subito dopo la guerra, c’è stata una lunga coda fino agli anni ‘60".

L’accoglienza in Italia non è stata calorosa.

"C’è da dire che il Paese era in ginocchio - ha osservato - Ci sono stati però episodi incresciosi: a Bologna non hanno lasciato scendere i profughi dal treno diretto a Genova per bere. I ferrovieri chiedevano come mai fuggissero da un Paese che era il sol dell’avvenire e dell’uguaglianza per tornare qui. Quello era il contesto storico. Peraltro eravamo stati messi nelle condizioni di andarcene e a Pola le case lasciate libere sono state tutte occupate da serbi, sloveni, macedoni, bosniaci".

Una pagina a lungo dimenticata

Il lungo silenzio su quella triste pagina di storia in questi anni si è rotto, anche grazie alla legge del 2004 che ha istituito il Giorno del ricordo, ma c’è chi nega la tragedia delle foibe.

"Io sono uno dei pochi ancora in vita ad aver visto ossa e teschi tirati su dal fondo di una foiba di quelle non censite - ha affermato - nell’Istria e nel carso triestino sono centinaia, quasi impossibile conoscerle tutte. A 10 anni con un mio amico sono arrivato vicino a Veneda, volevamo andare a buttare dei sassi in una di queste. Su un grosso masso accanto alla voragine abbiamo visto scheletri umani, munizioni e armi recuperati dai pompieri. Erano i primi anni ‘50, chissà quanta gente c’è ancora in foibe che non si conoscono. Senza contare i fucilati e quelli gettati in mare".

Un’esperienza che è rimasta indelebile nel cuore e nella mente.

"Ai ragazzi dico di informarsi e di capire che sono fortunati ad essere nati in un periodo così lungo di pace, garantita dall’Europa, anche se ci sono tante divisioni - ha concluso - La guerra è da imbecilli, io quando torno in Istria sento ancora le farfalle nello stomaco".

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