Treviglio

"Sbagliare si può": stare bene nell’epoca della performance

Come combattere il perfezionismo in una società veloce che chiede sempre il massimo?

"Sbagliare si può": stare bene nell’epoca della performance
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Stare bene nell'epoca della performance non è qualcosa di semplice e immediato, ma sicuramente è possibile. Anzi, è un obiettivo da perseguire ripetendosi che "Sbagliare si può". Successo anche per il terzo appuntamento del ciclo di incontri promosso dall'associazione trevigliese Famiglie InForma che si è tenuto mercoledì allo Spazio Hub di piazza Garibaldi a Treviglio.

Sbagliare si può

A tenere l'incontro, come sempre, sono state le psicologhe e psicoterapeute Michela Corti e Nicole Adami con l'intervento della collega Erika Aztei e l'introduzione del vicesindaco Pinuccia Prandina e dell'assessore alle Politiche giovanili Valentina Tugnoli.

L'argomento è ampio e legato a doppio filo con il territorio: l'area in cui viviamo, infatti, è altamente produttiva e legata al lavoro. È una delle aree più ricche e produttive d'Europa, nonché più industrializzata. Ecco perché, in un assetto che è più che altro produttivo, il tema dello "sbagliare si può" diventa centrale. Per vivere bene in una società che è la società della performance.

"L’uomo contemporaneo ha sostituito espressione di sé con l’esibizione di sé, con la narrazione di sé e una ricerca del senso di vita diverso, indirizzato al benessere e alla visibilità - ha spiegato Adami - Questo ci porta ad essere più felici? No. Manca sempre di più il tempo per sé stessi. Il lavorismo è un "virus" estremamente presente in Lombardia; è un concetto cardine che evidenzia come in alcune zone dove la produttività è alta e il in cui il benessere economico è più alto della media, il lavoro è il cardine centrale. La cultura bergamasca, nello specifico, è incentrata su questo aspetto. Il focus costante è sulle ore lavorative, quanto si è impegnati, quanto l’agenda sia piena e la performance conti".

Gli effetti sulla nostra vita

Per tutto quello che viene chiesto, il tempo non basta. Gli effetti del peso della performance sono molti: la stanchezza, l’irritabilità, il rimugino, difficoltà nelle relazioni, intransigenza, iper-controllo. Dalla richiesta continua possono sfociare anche disturbi. Si ha costantemente la sensazione che per sostenere le richieste fatte dall’ambiente, bisogna funzionare alla perfezione.

"Brenè Brown è una sociologa si occupa da anni di vergogna e sottolinea come "il perfezionismo è credere che se riusciamo a vivere in modo perfetto ad apparire perfetti, ad agire in modo perfetto, possiamo minimizzare o evitare del tutto la colpa, il giudizio o la vergogna" . ha proseguito Adami - Ciò che si richiede a se stessi è di fare tutto al massimo, al meglio ma è una modalità molto stressante e pericolosa".

I tipi di perfezionismo

Esistono vari tipi di perfezionismo:

  • il perfezionismo verso se stessi, in cui si hanno standard molto alti, si rimugina sulle azioni e i lavori messi in atto, si ha una severità verso di sé e un’incapacità nell’accettare gli errori. Questo porta a sperimentare vergogna e rabbia.
  • il perfezionismo eterodiretto, in cui non si delega agli altri per paura che gli altri non siano all’altezza ma al tempo stesso ci si arrabbia per non ricevere collaborazione. C’è una difficoltà a lasciare andare il controllo. Ciò porta ad essere rabbiosi ed irritabili verso gli altri non accettando che possano sbagliare o agire diversamente dal proprio modo.
  • il perfezionismo socialmente imposto, derivante dalla cultura del lavorismo. Ci si sente caricati dalle aspettative degli altri, si sente il bisogno che gli altri approvino ciò che si fa.

Si sperimenta continuamente la paura per il giudizio degli altri, si evitano certe situazioni sociali o si va in ansia da prestazione.

L'origine del perfezionismo

"Il perfezionismo è co-costruito all’interno della famiglia - spiega la dottoressa Corti - Il perfezionista, all’interno della famiglia e della società, verrà valorizzato perché ha in sé delle caratteristiche positive che, se estremizzate, possono portare a un perfezionismo patologico. Vengono individuate due famiglie per identificare i valori su cui queste si sviluppano: ci sono le ‘famiglie del Mulino Bianco’ e quelle ‘iper rigide’. La prima è una famiglia in cui la perfezione è valorizzata in ogni sfaccettatura: c’è molta competizione, si tende a crescere la prole in termini di successo ‘tu vali solo se vinci’. Viene valorizzato l’impegno, i voti alti, i successi sportivi, lavorativi, estetici. C’è la tendenza a dover essere sempre perfetti. Sono importanti la performance e le competizioni, soprattutto tra fratelli. I genitori, anche inconsciamente, mettono a confronto i fratelli, creano competizioni".

La famiglia del "Mulino Bianco"

"L’altro rappresenta un giudizio esterno che dice che cosa bisogna fare - prosegue Corti - Ciò diventa patologico quando limita lo sviluppo della personalità del figlio. I genitori spesso non si rendono conto di mettere in atto e di sviluppare questo meccanismo. Bisogna ascoltare e ascoltarsi per non mettere i figli in competizione con qualcun altro. Si deve passare dalla competizione alla collaborazione, anche nei contesti scolastici. I figli di queste famiglie sono molto caricati di aspettative: deve sempre prendere voti belli, vestirsi bene, essere migliori. È normale avere aspettative sui figli e è impossibile non averne ma è importante capire e chiedersi quanto queste aspettative incidano sui figli e siano in linea con quanto i figli vogliano essere".

"La conversazione in queste famiglie è organizzata sulla disconferma, trovando, anche nel fare il complimento, il lato negativo - ha spiegato la psicologa - Da qui nascono dei tratti, l’idea di non essere abbastanza: ‘se i miei genitori non sono contenti di quello che faccio, di quello che sono, devo impegnarmi ancora di più’. C’è differenza nello spronare i figli e lasciare che si realizzano anche nell’imperfezione. In ciò rientra anche l’accettazione: se si pensa che il figlio possa dare di più è giusto spronare, non perché raggiunga la perfezione ma affinché sia soddisfatto di sé. Se si fa sempre sentire manchevole di qualcosa, si dà il via alla costruzione del perfezionismo".

La famiglia iper-rigida

L’altro tipo di famiglia è quella iper-rigida, in cui il controllo la fa da padrone, in cui si tende a controllare l’altro.

"C’è una rigidità rispetto alle regole famigliari, c’è poca flessibilità. Essendoci molto controllo, la flessibilità non è presente, l’imprevisto porta a manifestare ansia. Sono famiglie in cui può svilupparsi un disturbo d’ansia perché si tende a tenere tutto sotto controllo. In queste famiglie entra in gioco la tematica del cattivo: se non si fanno determinate cose, non sei un perdente, sei un cattivo. I valori presentati sono molto legati alla cultura cristiana. Nelle famiglie iper-rigide, il perfezionismo patologico può slittare verso l’ossessione, la fissazione e il pensiero rigido. Proprio per questo, ci saranno meno aspettative sulle prestazioni ma più interesse nell’essere buoni, bravi".

"Il perfezionismo ha delle ripercussioni sulle relazioni. Ci saranno infatti alte aspettative verso le persone importanti, come il partner. Questo porta in risalto un senso di inadeguatezza del partner, portando ad un conflitto. Bisogna dare spazio all’altro, un margine di azione per farlo agire diversamente o farlo sbagliare. Limitare l’azione ed esercitando controllo porta a depotenziare l’altro, provocando in lui una perdita di autostima e un senso di vergogna"

Nel perfezionismo, però, esistono anche delle risorse: sono persone meticolose e precise, sono affidabili, sono determinati, hanno maggiori risultati nel mondo lavorativo, sono persone fidate, corrette, leali e sacrificali.

I figli dei perfezionisti

Alla dottoressa Atzei è stata, invece, affidata la riflessione riguardo cosa accade ai figli dei perfezionisti.

"La presenza di genitori perfezionisti può portare a stigmatizzare l’errore, percepito come un assoluto fallimento, precludendo qualsiasi possibilità evolutiva nel percorso di crescita - ha spiegato - L’errore può essere qualcosa che consente di conoscere se stessi, i limiti, il modo di reagire e affrontare le situazioni, conoscere il mondo. L’errore può essere una scoperta: tramite gli sbagli si può imparare qualcosa. Da piccoli si insegna che ‘’sbagliando si impara’’ ma da grandi non vale più così tanto perché si va incontro ad aspettative sociali, con tappe non scritte, nelle quali ogni tanto si fa fatica a rientrare.  Si avranno standard elevanti, paura di sbagliare e il rischio di valutare sé stessi solo davanti a risultati oggettivi senza considerare il processo che ha portato al traguardo".

Per uscire dal perfezionismo, si possono adottare alcune strategie: la consapevolezza e la flessibilità, vedere gli errori come opportunità, accettare i propri limiti, gestire l’onnipotenza, imparare ad uscire dalla miopia e avere uno sguardo di insieme, capire che qualità di vita si
desidera.

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