Martinengo

La Martinengo di un tempo in un’opera dell’ex sindaco Francesco Pavoncelli

Un lavoro meticoloso ispirato ad antiche mappe

La Martinengo di un tempo in un’opera dell’ex sindaco Francesco Pavoncelli
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La città di Martinengo com’era tra il 1450 e la fine del ‘700 in un’opera a china realizzata dall’architetto Francesco Pavoncelli.

Un'opera che ritrae Martinengo ispirata ad antiche mappe

Un lavoro meticoloso quanto complesso, cominciato negli anni ’90 del secolo scorso dopo il fortunoso reperimento di mappe storiche risalenti a quei tempi. Un piccolo tesoro che ha ispirato l’ex sindaco, cimentatosi in un’impresa che ha dato risultati sorprendenti, pubblicata in rete di recente.

"La chiesa, il convento delle suore, i palazzi, le torri, le mura e le case sono nella loro posizione esatta ed anche le facciate (quelle verso strada) sono state ricostruite in base al disegno originale della seconda metà del Quattrocento - ha spiegato - Di contorno, son visibili i filari di alberi a segnare i veri mappali del catasto voluto da Maria Teresa d’Austria, poi diventato napoleonico. Alcuni edifici del borgo Tombino, appena fuori le mura, sono stati disegnati in bidimensionale, cioè con tratteggio piatto, innanzitutto perché la rappresentazione delle facciate nell’antica mappa a facciate ribaltate non le ha trattate e, in secondo luogo, perché in alzato avrebbero coperto la parte principale della rappresentazione, quella dell’ingresso al borgo, con la Porta Tombino, appunto, con il suo casello daziario e il ponte levatoio. Le 12 torri sono tutte collegate dal camminamento di ronda sopra il quale si ponevano i difensori della città in caso di pericoli esterni, come le incursioni predatorie provenienti dal Milanese e dal Cremasco, suo alleato. Soprattutto la prima metà del Quattrocento fu assai caotica per il fatto che eravamo contesi sia da Milano che da Venezia e solo la celeberrima Pace di Lodi ci avrebbe portato benessere e sviluppo giusto nel 1454 quando Martinengo divenne Feudo Gentile di Bartolomeo Colleoni e dei suoi eredi. Particolare interessante, il camminamento parte e si conclude proprio alla Casa del Capitano. In piccolo sono anche rappresentate alcune persone a piedi o a cavallo e inserite nel contesto con l’intenzione di animare la scena di un normale pomeriggio di inizio estate".

Nell’incisione al tratto non mancano l'Aquila in atto di ghermire la preda e di prendere il volo, stemma della città, e la Patata, il tubero arrivato dalle Americhe che ha sfamato la popolazione e consentito il suo uso anche come merce di scambio.

Un lavoro durato anni

"Il disegno è rimasto a tecnigrafo per mesi ed ha trovato conclusione nel 2002 con la scansione e la stampa su carta speciale realizzata in concomitanza con la prima edizione della Guida storico-artistica di Martinengo che ancora si trova in Pro loco e in biblioteca - ha proseguito Pavoncelli - Invito chi lo apprezzasse a valutare la presenza della Madonna della neve, extramuros in zona Molino Nuovo, e percepire la sua vera distanza dalla cinta muraria vista l’ampiezza del fossato che la separa dalle mura. Quello era a tutti gli effetti un vero vallo di difesa della città murata e che nel contempo svolgeva anche funzioni igieniche, visto che vi confluivano diversi scarichi reflui. Non sono invece ancora riuscito a trovare una precisa collocazione “del buco attraverso il quale, i soliti informati, riuscivano a rientrare in città anche dopo le 22, ora della chiusura delle grandi porte".

E a tal proposito tante erano le leggende.

"Bartolomeo che, sostenendo di avere il dono dell’ubiquità, vantava la sua contemporanea presenza sia al castello di Malpaga che alla Casa del Capitano di Martinengo, con la propria famiglia - ha concluso l’architetto - Ebbene, sotto quella casa esiste tuttora una grande cantina orientata verso il fossato dove è presente una piccola e stretta apertura che permette di uscire nell’attuale orto della famiglia che vi abita e che sta proprio nel fossato: qualche fronda ben messa e un sicuro portoncino avrebbero potuto esserci e consentire al “Capitano” di passarci senza essere visto... Da lì anche un’altra leggenda, quella di una galleria sotterranea che collegava le due residenze di Malpaga e Martinengo".

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