Verdellino

Il vescovo verdellinese di El Alto racconta l'emergenza sanitaria

E’ in Bolivia ormai da 32 anni ma Monsignor Eugenio Scarpellini, non ha certo dimenticato i suoi compaesani di Verdellino

Il vescovo verdellinese di El Alto racconta l'emergenza sanitaria
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E’ in Bolivia ormai da 32 anni ma Monsignor Eugenio Scarpellini (che al telefono preferisce farsi chiamare padre Eugenio), non ha certo dimenticato i suoi compaesani di Verdellino né i suoi parrocchiani di Nembro con i quali, dopo oltre tre decenni di lontananza, ha ancora un rapporto strettissimo.

Il racconto

"Qui in Bolivia la situazione all’inizio era più tranquilla. Mentre in Italia, e soprattutto nella nostra Bergamo, c’era il picco dell’epidemia, qui c’erano solamente 25 casi comprovati, di cui nessuno ospedalizzato. Tutti sembravano derivare da persone che erano rientrate da Spagna, Italia e Colombia. Il focolaio qui è a Santa Cruz, mentre io fortunatamente sono sull’altipiano, a 4mila metri, e mi auguro proprio che il virus non arrivi fino a qui. Non tanto per me, ma perchè in tutta la Bolivia ci sono solamente 220 posti di terapia intensiva, di cui un 90% già occupati da situazioni di emergenza non legate al virus. Quello che preoccupa qui è la cultura della gente di campagna: le persone pensano che qui il virus non possa arrivare e continuano la vita normale, nonostante anche qui sia scattata le quarantena. Qui a El Alto siamo più di un milione di abitanti, ma circa l’80% della popolazione vive alla giornata, con un lavoro informale. Se non lavorano, non vivono. Per queste persone non uscire di casa significa non mangiare". Una situazione potenzialmente molto pericolosa, non solo dal punto di vista sanitario ma anche da quello sociale. Padre Eugenio, dal canto suo, cerca in ogni modo di confortare i suoi parrocchiani da lontano, celebrando tutte le sere la messa in diretta Facebook, da solo.

Le contromisure

"Da subito abbiamo sospeso tutte le celebrazioni in chiesa - racconta Padre Eugenio - io sono preoccupatissimo. Ho fatto il curato a Nembro per 5 anni prima di partire per la Bolivia. E ormai quando mi scrivono gli amici sono sempre brutte notizie. Io sono lontano, non posso fare molto, a parte parlare con le famiglie dei malati e dei defunti, anche se da lontano. Sto moltisimo tempo al telefono per cercare di incoraggiare i miei ex parrocchiani e confortarli nel lutto. Qualcuno mi ha detto “Eugenio, vivo come in un film del terrore, hanno chiuso mio padre in una borsa di plastica e non l’ho più visto”. Il dramma di tante famiglie, ora è quello di non poter vivere normalmente il lutto. Tanti me lo dicono, tanti me lo fanno sentire. Io faccio quello che posso, nel mio piccolo, sia per le persone qui in Bolivia che per quelle in Italia". Ci sono stati periodi decisamente difficili per Padre Eugenio, che non riesce a nascondere la commozione nella voce quando parla della perdita del suo compagno di messa, don Fausto Resmini, o di Ivana Valoti, l’ostetrica di Alzano morta per il Covid dopo aver assistito la madre colpita dalla stessa malattia che da ragazza frequentava il centro giovanile di padre Eugenio.

Solidarietà: grande conforto

"Nonostante questo brutto periodo mi è di grande conforto la grande solidarietà che si sta muovendo. Oltre a medici, infermieri, personale degli ospedali e forze dell’ordine ci sono migliaia di volontari, gente che non ha paura di mettere a rischio la propria vita per aiutare gli altri. Anche qui in Bolivia c’è molta solidarietà nei confronti della nostra terra: la comunità bolibiana a Bergamo conta circa 17mila persone e da quasi 60 anni ci sono tanti bergamaschi qui in Bolivia. Tantissima gente chiama e scrive per dare un, aiuto, un supporto, o anche solo un mesaggio di conforto. E questo è molto importante".

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