Verdellino

Il dottor Rossignoli va in pensione: "Nessuno vuol più fare il medico di base"

Classe 1956, dal 2008 era in servizio nell'ambulatorio di via IV novembre: una vita dedicata ai malati e al territorio

Il dottor Rossignoli va in pensione: "Nessuno vuol più fare il medico di base"
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"Quando ho iniziato a esercitare come medico di base, a Treviglio, avevo pochi pazienti e si doveva sgomitare per ritagliarsi un posto. Oggi, questa professione, non è più attrattiva ed è colpa soprattutto di una burocrazia insana".

A parlare è il dottor Antonio Rossignoli, classe 1956, dal 29 febbraio ufficialmente in pensione dopo aver lavorato tutta la vita per la sanità territoriale. L’ultimo incarico, che risale al 2008, lo ha visto medico di base in paese, in una realtà, quella verdellinese, che lui stesso ha definito "eterogenea e con le sue criticità". Un’esperienza che però, ci tiene a sottolinearlo, gli è piaciuta molto e di cui già sente la mancanza.
Nell’ambulatorio di via IV novembre è rimasto il dottor Donato Minutella, con il quale condivideva i locali e che presta servizio in paese con Antonio Felice Caizzone, entrambi titolari di ambito.

Il dottor Rossignoli appende il camice

"In questi giorni ho ricevuto moltissime attestazioni di affetto che mi hanno davvero commosso - ha raccontato - al momento di sento ancora un po’ turbato e a disagio, ne sento molto la mancanza, ma si tratta comunque dei primi giorni dopo anni in prima linea".

A Verdellino Rossignoli ha sicuramente lasciato il segno. Medico di base "di una volta", pronto a visitare il malato a casa - cosa che ha continuato a fare anche durante il Covid, ndr - si è fatto sempre ben volere da tutti.

La realtà "eterogenea" di Verdellino

"Verdellino è una realtà eterogenea formata da autoctoni, pochi, dalle famiglie che negli anni Settante emigrarono dal Sud e in grande percentuale, oggi, da extracomunitari. Per alcuni versi ho lavorato come in trincea, ma per me è sempre stata una scelta etica che mette davanti a tutto il rapporto con i pazienti".

Certamente le difficoltà non sono mancate, soprattutto sulla comunicazione.

"E’ capitato di dover parlare con bambini di otto, nove anni che facevano da interpreti per i nonni - ha raccontato - E’ davvero difficile spiegare a un bambino situazioni che possono essere difficili da comprendere anche per gli adulti".

La carriera di medico

Per Rossignoli, sposato e padre di due figli di 26 e 31 anni, quello del medico di base è stato un traguardo raggiunto dopo anni in cui ha ricoperto diversi ruoli partendo dal 1991 come Guardia medica, incarichi all’Usl (quella che oggi è l’Ats, ndr) e al Distretto di Caravaggio fino all’incarico - come medico prelevatore - di organizzare il prelievo territoriale nei Distretti di Caravaggio, Cologno, Dalmine e Cisano Bergamasco.

"Dopo un’esperienza anche come medico fiscale ho iniziato a svolgere l’attività di medico di base prima a Treviglio tra il 1992 e il 1993 - ha aggiunto - Allora c’erano molti medici e per riuscire a ritagliarsi un posto bisognava sgomitare. Oggi, invece, i giovani medici non sono più attirati da una professione malpagata e vessata da una burocrazia assurda. Ci hanno messo nelle condizioni di passare ore e ore a compilare carte che non servono a nulla e a utilizzare programmi che cambiano continuamente, peggiorando".

"Avevo pochi pazienti così mi sono spostato ad Arcene e poi nel 2008 a Verdellino. Nel frattempo ho sempre portato avanti la reperibilità notturna alla Rsa di Spirano e di Treviglio, cosa che ho continuato a fare fino a una decina di anni fa. Questo perché non volevo diventare un “medico pantofolaio” - ha scherzato - ma continuare a essere presente nella necessità, nell’urgenza".

Il dramma del Covid

Una scelta, la sua, confermata anche durante il periodo tremendo della pandemia.

"E’ stato un dramma per tutti - ha ricordato con la voce che torna subito seria ripensando a quei mesi terribili - io stesso sono stato malato, 50 giorni durissimi. Mi scrivevo con i colleghi medici, poi qualcuno smetteva di rispondere perché non ce l’aveva fatta. Ho visitato in casa i malati protetto come si poteva, le mascherine mancavano e mi sono trovato, soprattutto nei mesi successivi, a dovermi “improvvisare” neurologo, oncologo, cardiologo perché tante visite venivano annullate ma i pazienti continuavano ad avere bisogno. E’ stato un dramma psichico enorme".

I problemi della sanità pubblica

Quella che lascia oggi, però, non è la stessa professione di trent’anni fa. I problemi della sanità pubblica sono quanto mai attuali e la situazione di emergenza non accenna a rientrare.

"Alla luce delle liste d’attesa infinite il 60% dei pazienti sceglie di rivolgersi a strutture a pagamento, un 20% attende tempi inaccettabili e un altro 20% ha cessato di curarsi - ha spiegato - Questo è gravissimo. E questo è il risultato di una politica sbagliata che per anni ha tenuto la facoltà di Medicina a numero chiuso, invece di organizzare una programmazione. I pensionamenti di questi anni erano largamente prevedibili e non si può avere una mancanza di personale così elevata in un settore chiave come quello della sanità".

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