Ecco l'eredità di Mario, poeta "banchér"

Più di ottanta poesie dialettali, rigorosamente scritte a mano in carattere "gotico". E’ questa l’eredità artistica e culturale che Mario Tirloni ha lasciato ai suoi cari e a tutta la comunità colognese.

Ecco l'eredità di Mario, poeta "banchér"
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Più di ottanta poesie dialettali, rigorosamente scritte a mano in carattere «gotico». E’ questa l’eredità artistica e culturale che Mario Tirloni ha lasciato ai suoi cari e a tutta la comunità colognese.

Ecco chi è il poeta "banchér"

Noto a tutti come «banchér», in virtù della sua storica professione –  per tutta la vita ha lavorato per la Bcc colognese – Mario si è spento lo scorso anno, a ottobre, all’età di 83 anni. Ma la sua memoria resta viva e vegeta nei suoi scritti. La sua e quella di un mondo che ormai non esiste più. Perché, infatti, Mario aveva molte passioni.

Le passioni di Mario

Adorava fotografare gli scorci del borgo che tanto amava, ma soprattutto trascorreva le giornate a decantare la vita e le tradizioni colognesi, scrivendo poesie. Di queste oggi ne esistono più di un’ottantina. Raccolte meticolosamente in vari quaderni con tanto di traduzione in italiano. Perché Mario sapeva bene che la nuove generazioni non avrebbero capito il dialetto dei nonni. Inoltre accanto ad ogni poesia, Mario allegava una fotografia. Insomma quei quaderni sono come dei documenti storici, che testimoniano un mondo che ormai non esiste più.

Al centro la vita di Cologno

I temi affrontati nelle poesie sono vari. Al centro però c’è il paese dove abitava: Cologno. Ha scritto quindi della processione di Sant’Eurosia, del "gir di foss" –  pratica, tuttora, ben consolidata anche dalle nuove generazioni – e ancora di quando il mercato si trovava di fronte a Porta Rocca o, ancora, dei personaggi importanti della comunità come il Cardinale Agliardi, o don Cirillo Pizio. Mario ha affrontato molto anche la tematica agricola, forse quella più vicina alla realtà colognese della sua infanzia. E così Mario ha scritto una poesia sullo spigolare, cioè quando, mietuto il granoturco, si andava nei campi, sacco alla mano, a raccogliere le pannocchie che erano rimaste nel terreno.

Un penna "d'oro"

Tirloni, grazie alla sua penna, riusciva a trasfigurare le cose semplici, rendendole molto poetiche. E così quando scrive dei bagni che nelle vecchie corti erano in comune, sottolinea come le finestrelle del «cés» fossero tutte a forma di cuore. Un antitesi, come scrive in una nota, del tutto sublime. Per conoscere la storia completa di Mario, leggi l'articolo sul Giornale di Treviglio (Romanoweek/Cremascoweek) in edicola.

 

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