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Dopo il Covid, la guerra: i consigli della psicologa

Prima due anni di pandemia, ora il mondo che cammina sull’orlo della Terza guerra mondiale. Come spiegarlo ai bambini?

Dopo il Covid, la guerra: i consigli della psicologa
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Prima due anni di pandemia, ora il mondo che cammina sull’orlo della Terza guerra mondiale. Non c’è chi non si stia chiedendo, in questi giorni, cosa stia succedendo in questo inizio di decennio che sembra impazzito, e in cui la Storia sembra aver accelerato nella direzione sbagliata. Ansia, angoscia e depressione colpiscono tutti, ma specialmente i ragazzi e gli adolescenti, che si affacciano all’età della scoperta e del progetto della propria vita. Ma anche i bambini percepiscono l’angoscia dei genitori, e di fronte alle tv (o agli smartphone) si fanno domande le cui risposte possono spesso lasciare un segno indelebile nella loro mente. Come reagire? Come parlarne con i più piccoli?

I consigli della psicologa dell'Asst Bergamo Ovest

Ne abbiamo parlato con la psicologa Loredana Colombo, direttrice dei sei Consultori familiari dell’Asst Bergamo Ovest. Che proprio in questi giorni, peraltro, si stanno attrezzando per far fronte, anche dal punto di vista dell’assistenza psicologica, ai profughi in arrivo dall’Ucraina. Lo stesso tema sarà trattato anche in un incontro organizzato a Mozzanica per domani sera, sabato 12 marzo, alle 21, in sala consiliare, organizzato dal gruppo consiliare "Permozzanica".

Dottoressa, dopo due anni di Covid, l’angoscia per la guerra in Europa. Quali sono le conseguenze psicologiche di tutto ciò?

Come sempre quando ci sono situazioni impreviste e improvvise, che possono causare traumi, la prima reazione è quella di immobilizzarsi, di non reagire. Tra l’altro, veniamo da due anni claustrofobici. Stavamo cominciando a rivedere la luce in fondo al tunnel, e rieccoci. Le conseguenze? Ovviamente lo sbigottimento e lo sconforto, e un’angoscia che è di nuovo totale e collettiva. I giovani e gli adolescenti pensano: "Ma perché sono così sfortunato, da vivere in questi anni?".

I nonni più anziani ricordano la Seconda guerra. I genitori, invece, hanno generalmente vissuto decenni di pace e di boom economico...

Ma l’errore sarebbe proprio questo: lasciare che adottino un atteggiamento passivo. A differenza che nel lockdown, in cui l’isolamento era forzato, ora dobbiamo incentivarli invece a reagire. Vediamo giovani e adolescenti nelle piazze, con le bandiere, e va bene così. Quello che noi adulti dovremmo fare è aiutarli ad essere protagonisti. Fiaccolate, manifestazioni, raccolte di generi di prima necessità... Iniziative che aiutano gli ucraini, certo. Ma la verità è che aiutano anche noi. Essere passivi, invece, porta a deprimersi e a chiudersi ancora di più. Ricordiamoci infine che questi ragazzi sanno essere molto forti ma anche molto fragili, a giudicare dall’aumento di patologia psichiche anche gravi che abbiamo visto in questi anni. E’ importante tenere aperto il dialogo.

E come comportarsi, invece, con i bambini?

Con i bambini più piccoli, diciamo fino ai 6/7 anni, è inutile e dannoso parlare e mostrare loro immagini e news sulla guerra. Sono ancora nell’età del "pensiero magico": non capirebbero il concetto della guerra e l’esito sarebbe solo di generare paura e angoscia. Quindi, non esponiamoli a telegiornali e media. Più avanti, invece, sì: non c’è niente di cui non si possa parlare con i bambini. Anzi: non si può non parlarne. A casa e a scuola è fondamentale non ignorare i sentimenti di paura e di ansia che un conflitto, anche solo visto in tv, potrebbe suscitare in loro.

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