Caravaggio

Dal mare alle cascine: "Un altro mondo ma mi accolsero con grande rispetto"

Il viaggio a ritroso nel tempo di Anita Lavezzari, storica insegnante arrivata dalla Liguria nei primi anni ‘50

Dal mare alle cascine: "Un altro mondo ma mi accolsero con grande rispetto"
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Dal mare blu della Liguria alle verdi campagne della pianura lombarda... tra le cascine, i campi, le rogge, la nebbia e la neve della Caravaggio degli anni ‘50: un mondo sconosciuto che Anita Lavezzari ha imparato ad amare e non ha più lasciato.

L'avventura caravaggina di Anita Lavezzari, storica maestra

Lei era la maestra, quando ancora questo ruolo suscitava grande considerazione nella società, venuta ad insegnare ai bambini che vivevano fuori paese, al Panizzardo, una corte dove tante famiglie contadine lavoravano la terra. Alloggiava anche lei lì, con lo stretto necessario e vicini che parlavano un dialetto incomprensibile, niente tv, locali per ballare, cinema o teatro, genitori e fratelli lontani centinaia di chilometri, là nella sua casa di Diano Marina, in provincia di Imperia. Giusto la radio di qualcuno. Non facile adattarsi per una ragazza di 21 anni, sola. Eppure ce l’ha fatta, e oggi, compiuti i 95 anni venerdì 2 febbraio, festeggiata da familiari e sindaco, racconta dalla poltrona della sua casa in via XXIV Maggio l’avventura della sua lunga vita in terra bergamasca, in una Caravaggio che non c’è più.

"Mio padre era un maresciallo dei carabinieri in pensione, mi madre una casalinga che aveva cresciuto cinque figli - ha detto con un sorriso dolce e modi gentili - Una volta preso il diploma magistrale ho partecipato a un concorso per poter insegnare e l’ho vinto".

Un posto di ruolo, sicuro, di meglio non si poteva sperare, e così partì con il primo treno per raggiungere i suoi futuri alunni.

"Non avevo mai visto la pianura, le cascine, per me era tutto nuovo - ha ricordato - quando sono arrivata sono stata accolta benissimo, con un rispetto incredibile. Era gente semplice e buona, ma essendo analfabeta parlava solo bergamasco e io all’inizio non capivo una parola. Difficile allora approcciarmi con i bambini e così, invece di insegnare a quelli più piccoli, ho preso quelli di quarta e quinta che già parlavano un po’ di italiano: mi è venuta in soccorso la collega, si chiamava Luciana Crotti, lei era caravaggina, e ci siamo scambiate le classi. Si faceva lezione in un grande stanzone attrezzato con cattedra e banchi. La domenica nell’aula passava il sacerdote per dire messa. Ricordo quando gli uomini tornavano dalla campagna, si ritrovavano in cucina: una donna versava loro un po’ di vino e loro giocavano alla “mora”, intorno al tavolo. Non c’era nulla e così si andava a letto intorno alle 19, quando faceva buio. I materassi erano fatti con le foglie del mais, e per scaldare le lenzuola fredde si usava il “frà”, una sorta di caldaietta fatta con una struttura metallica dove era posta una pentola con delle braci, che si infilava nel letto".

Un mondo bucolico senza svaghi, duro ma genuino, che la maestra si porta ancora nel cuore.

"Serbo un bellissimo ricordo di quella gente lavoratrice e rispettosa"

"Io mi ritiravo in una stanzetta - ha spiegato - c’erano un letto, un tavolo, un armadio e una stufa. Una ragazza passava ad accenderla e rimaneva un po’ con me. Le donne mi portavano la minestra ... davvero bravissime persone. Lì di soldi non ce n’erano, si usava il baratto quando passava un uomo a portare verdura, frutta e pane. Per le mie altre necessità la ragazza che faceva da bidella mi faceva la spesa a Capralba. Passava anche la lavandaia per chi aveva bisogno. Non dimenticherò mai la mia vicina, Maria, che chiamava le sue oche in cortile: “Sö là”, gridava, e i pennuti salivano una scaletta e si appollaiavano sulle assi messe apposta per loro. Lei le copriva e restavano lì fino al mattino. Animali intelligentissimi... Una volta mi chiese se potevo insegnarle a leggere e così andavo da lei per farle imparare l’alfabeto. Poi però mi disse di lasciar perdere, si vergognava... Serbo un ricordo bellissimo di quella gente lavoratrice, educata, corretta e rispettosa".

Vita spartana, un po' di nostalgia e il matrimonio con un collega

Tuttavia una vita senza dubbio spartana, non semplice da affrontare per una ragazza «forestiera».

"Rammento una domenica, volevo uscire e raggiungere il paese ma con la neve alta scivolai e lasciai perdere - ha riso - soffrivo la solitudine. La lontananza da casa si faceva sentire ed era una gioia quando andavo a Capralba a prendere il treno e tornavo a riabbracciare i miei cari per le vacanze, rivedevo il mare. Ho fatto tanti sacrifici ma mi trovavo comunque bene, facevo una vita tranquilla e serena tra quelle persone di grande umanità, verso le quali era nato dell’affetto e anche della simpatia. E poi avevo un lavoro sicuro che mi permetteva di mandare soldi alla famiglia. Dovetti però cambiare anche le mie abitudini alimentari: in particolare c’erano polenta, minestra e le rane catturate dai bambini nei fossi a cui le mamme tagliavano le zampine per poi friggerle... Un gesto senza nessuna crudeltà, era la normalità per mangiare, ma la cosa mi impressionava".

Dopo qualche anno il passaggio alla scuola di Masano, dove la maestra trovò un po’ più di vita sociale. Quindi l’incontro con l’uomo della sua vita, un collega che veniva dalla Calabria, Domenico Lombardo.

"Ci siamo sposati e abbiamo avuto tre figli - ha concluso con lo sguardo di chi ripercorre con la mente la sua vita - abitavamo nella casa del maestro Antonio Riboldi. Poi ci siamo spostati in questa, ma è rimasto con noi finché è mancato".

Un tuffo in un mondo che ormai è rimasto solo nei ricordi di chi l’ha vissuto.

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