Da Caravaggio a Zurigo per creare un cuore artificiale

La ricerca scientifica è sempre stata la sua passione e ora è anche il suo lavoro. C'è anche Aldo Ferrari nell'equipe europea dello Zurich Heart.

Da Caravaggio a Zurigo per creare un cuore artificiale
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Da Caravaggio a Zurigo per creare un cuore artificiale. C'è anche il giovane ricercatore Aldo Ferrari tra l'equipe europea che sta lavorando progetto dello «Zurich Heart».

Il sogno di un cuore artificiale

Il suo cuore batte per la scienza, ma è anche grazie alla passione di Aldo Ferrari, ricercatore caravaggino in Svizzera, che il sogno di un cuore artificiale si sta lentamente concretizzando. Si tratta di un progetto ambizioso e al tempo stesso rivoluzionario quello dello «Zurich Heart», al quale Aldo e un folto numero di ricercatori e dottorandi stanno lavorando dal 2012 all’istituto «ETH» di Zurigo, in stretta collaborazione con l’Università di Zurigo e l’ospedale di Berlino.

«L’obiettivo del progetto è quello di realizzare una pompa in grado di supportare o sostituire un cuore che non funziona più come dovrebbe, causando così delle difficoltà nella vita quotidiana del paziente – ha spiegato Ferrari – Nei paesi industrializzati, circa il 2% della popolazione adulta soffre di grave insufficienza cardiaca, che può raggiungere 10 milioni di persone in tutta Europa. Lo Zurich Heart si propone di migliorare le tecnologie esistenti, risolvendo i limiti delle pompe attuali per poter così garantire un’efficienza dell’impianto a lungo termine».

Sviluppare nuove tecnologie

Non si tratta soltanto di apportare delle modifiche ai sistemi di supporto esistenti, ma anche di sviluppare nuove tecnologie e sistemi alternativi che vadano ad esempio a rendere le componenti artificiali della pompa sempre più tollerabili dall’organismo, anche attraverso l’uso di materiali sintetici capaci di ridurre i rischi di rigetto, infiammazione dei tessuti e trombosi, facendo in modo che il sangue non subisca processi di coagulazione secondo il concetto di emo-compatibilità.

«Ciascun team coinvolto nel progetto ha lavorato in questi anni su un aspetto specifico del cuore artificiale – ha proseguito Ferrari – Dalla primavera si darà inizio alla seconda fase, che vedrà impegnata una seconda generazione di dottorandi, i quali avranno il delicato compito, nei prossimi 3-5 anni, di assemblare tutte le tecnologie studiate finora per realizzare il progetto unitario, che si prefigge tra le finalità anche quella di rendere il supporto wireless, in modo da ovviare al rischio di infezione causato dai cavi, facilitare l’operazione chirurgica e la ricarica della pompa».

Un team europeo

Insomma, tutto è stato studiato per un unico e semplice obiettivo: quello di migliorare la vita delle numerose persone, adulti e bambini, che a causa di una grave patologia sono costretti a vivere tra angosce, difficoltà e restrizioni. Ma lo Zurich Heart non è solamente un importante progetto di ricerca tecnologica e medica, bensì anche un esempio di altissima collaborazione europea.

«Al progetto stanno lavorando studenti e ricercatori di ogni età, ma soprattutto provenienti da ogni angolo d’Europa: ci sono molti tedeschi, italiani, svizzeri, greci e molte altre nazionalità – ha confermato il ricercatore caravaggino – Tutti però lavoriamo con passione e serenità gomito a gomito, senza mai perdere di vista l’obiettivo che ci ha portati fin qui».

Un curriculum perfetto per Zurich Heart

Del resto anche la storia di Aldo intreccia luoghi, culture e persone, in un incredibile puzzle che l’ha portato da Caravaggio fino a Zurigo, ma sempre guidato dall’amore per la scienza. «Ho frequentato le medie e le superiori ai Salesiani di Treviglio, e insieme alla storia la mia materia preferita è sempre stata la biologia – ha raccontato Ferrari – Da piccolo avevo sentito parlare della Normale di Pisa e da allora mi è sempre rimasta in testa, tanto che dopo la maturità quando ne ho avuto la possibilità, ho provato a fare il test d’ammissione e con mia felice sorpresa l’ho passato. Ho poi scelto la facoltà di biologia ma ho ricevuto una formazione molto varia che si è ampliata dopo la laurea con il master in fisica. Tutto questo mi ha portato ad avere un profilo particolare, perché mi ha consentito di contare su competenze legate alla biologia, ma anche all’ingegneria e alla fisica».

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