Intervista

Il cremasco Filippo Maria Ruffoni racconta il "suo" Cervino

"L’escursionista medio non percepisce fino in fondo i rischi effettivi dell’alta quota e non conosce a fondo la natura"

Il cremasco Filippo Maria Ruffoni racconta il "suo" Cervino
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È  la prima volta in vetta sul Cervino per il cremasco Filippo Maria Ruffoni, imprenditore e scalatore cremasco. Nei giorni scorsi, l'intraprendente alpinista ha  raccontato a CremascoWeek la cronaca del suo sogno realizzato, parlando però anche di alpinismo, sicurezza a dei suoi progetti futuri.

 

Da quanto tempo frequenta la montagna? E perché la scelta del Cervino, «la montagna perfetta» famoso per la sua asperità?

«Ho 36 anni, vado in montagna da quando ne ho 16 con le prime gite organizzate dalla parrocchia. Il Cervino (4.478 metri) è da sempre la meta più ambita per la lunghezza e l’imprevedibilità del tragitto e la meteorologia e le diverse insidie che nasconde. Infatti di solito si fa o d’estate o d’inverno per i rischi di temporali improvvisi e questo è il secondo tentativo perché l’anno scorso il comune di Cervinia aveva bloccato le scalate per ragioni di sicurezza. Era già qualche anno che volevo cimentarmi ma volevo arrivarci in maniera perfetta dal punto di vista della preparazione tecnica perché ci sono delle difficoltà legate alla salita che si presenta complessa e con molte variabili (placche, creste, rupi vertiginose, una montagna che si presenta “a scaglie” e crolla quasi su se stessa). È tutto concentrato, non c’è mai una tregua. È una montagna aspra che non perdona. Si fa fatica anche a fermarsi per fare riprese e fotografie. Quando si lascia il rifugio per intraprendere il percorso più arduo si è sempre costantemente in esposizione. Io ci sono arrivato “rilassato”, ho studiato bene il percorso anche perché avevo con me il maestro Edmond Joyeusaz, guida alpina di Courmayeur e infatti l’abbiamo scalato velocemente. L’ascesa è stata emozionante, la discesa invece ci ha messo un po’ più in difficoltà a causa di una nevicata abbondante».

Cosa le ha lasciato quest’esperienza così particolare?

 

«Andare in giro per montagne è la mia grande passione (non è il mio lavoro), ma mentre salivo questa montagna mi sono immedesimato negli scalatori degli anni ‘50, a tutti i pionieri dell’alpinismo che si sono cimentati in un’impresa così impegnativa senza gli strumenti idonei. Adesso l’attrezzatura che abbiamo a disposizione fa sicuramente la differenza.
Ho visto anche tanti rinunciare a metà percorso, perché non si sono resi conto della difficoltà. Pochi riescono a concludere la scalata perché manca la preparazione e un percorso di acclimatamento per abituare il corpo alla carenza di ossigeno. Io sono partito dal versante della Svizzera (rifugio Zermat) e sono poi arrivato in Italia, alla Cresta del Leone, in due giorni».

Aumentano però anche gli incidenti in montagna e c'è chi denuncia come spesso alle spalle delle disgrazie ci sia anche  superficialità e impreparazione Cosa ne pensa?

« Attualmente il numero dei frequentatori delle montagne è aumentato e di conseguenza anche il rischio di incidenti. L’escursionista medio non percepisce fino in fondo i rischi effettivi dell’alta quota (tempistica, lunghezza dell’itinerario, variazioni climatiche) e non ha una conoscenza sufficiente della natura. Si pensa che basta guardare un video su YouTube e si tende a semplificare e banalizzare. Tanti salgono in quota solo basandosi sul cellulare o sui panorami tanto decantati dai social senza aver studiato attentamente il percorso e così si trovano soli e impreparati sui sentieri alpinistici oppure su tracce non aggiornate. Un altro aspetto che sto notando è che gli italiani stanno abbandonando man mano le linee più impegnative, soprattutto di confine, a differenza degli spagnoli, dei francesi e dei polacchi. Le nuove generazioni sono più propense all’arrampicata sportiva che all’alpinismo tecnico».

Un problema di cui ha parlato recentemente, dopo un incidente avvenuto proprio in Bergamasca venerdì 25 agosto 2023, il Soccorso Alpino.

Progetti futuri sulle vette del mondo?

«A febbraio il Monte Stanley in Uganda, l’ultimo ghiacciaio dell’Africa a 5.100 metri, un’altra sfida dopo il monte Kenya e le altre vette africane già scalate e poi mi dedicherò alla spedizione in Nepal programmata per l’autunno 2024».

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