Questa sera a Treviglio c'è Bobby Solo: "Quando venivo lì a suonare..."
"I giovani che fanno musica oggi? Non vanno criticati. La musica pop è la colonna sonora della società in cui viene scritta e ascoltata. Ma per me, che sono il loro nonno, la musica si ferma al 1972".

Al telefono risponde direttamente lui. Niente segretari, niente formalismi, nessun vezzo da artista, nonostante a 77 anni, dopo 59 anni di carriera, due Festival di Sanremo vinti e 37 album pubblicati, uno potrebbe anche averne il sacrosanto diritto. Bobby Solo è così: un vulcanico, espansivo e brillante affabulatore. I ricordi che pesca dal cappello sono freschi e leggeri, ironici, divertenti: non c'è nostalgia, non c'è l'amarezza che talvolta si trascina dietro il correre degli anni.
Bobby Solo in concerto a Treviglio - L'intervista
Questa sera, mercoledì 22 giugno, alle 21, sarà a Treviglio per inaugurare la stagione musicale del Comune sul palco di piazza Setti. Lo abbiamo intervistato da Pordenone, dove vive, martedì. Ha tardato a pranzare, spiega. "Ho tutto il tempo che volete, fatemi solo ordinare un caffè".

Maestro, è pronto per il concerto? Ha già preparato la scaletta?
"Ma quale scaletta... è da cinquant'anni che suono e non ho mai scritto scalette dei miei concerti. Salgo sul palco e improvviso. Lì a Treviglio, domani, aprirò probabilmente con i miei classici pezzi, otto, nove canzoni... E poi vediamo. Farò dei brani di Johnny Cash, di Elvis Presley. Voglio fare "Estate", di Bruno Martino. E poi qualche classico degli anni Sessanta e Settanta".
Qual è la prima emozione sul palco, dopo.. Beh, migliaia di concerti
"Ne avrò fatti centomila (ride): le dico la verità: nei primi anni l'emozione era quella legata all'insicurezza e alla timidezza. Ora sento solo la gioia di suonare".

È la prima volta che viene a Treviglio?
"No, no... Conosco bene quella zona. A Treviglio - ma saranno passati cinquant'anni - c'era un negozio di pelli dove venivamo spesso. A volte suonavamo anche, ci pagavano con dei capi di abbigliamento, o proprio con delle pelli. E poi dalle vostre parti, in provincia di Bergamo, venivo spesso in palestra...".
In palestra?
"Lì vicino, a Madone, anni fa... Facevo sollevamento pesi, in una piccola palestra. È uno sport che pratico ancora, ma a 77 anni ho dovuto ridurre un po' i carichi dei bilancieri e dei manubri, capirà...".
Lei è un'icona della musica leggera italiana. Cosa pensa del panorama musicale italiano di questi anni?
"Sono un po' il nonno, dei ragazzi che suonano oggi. Ma come un nonno, percepisco i giovani che fanno musica oggi come i miei nipoti, e non mi sento di criticarli, mai. La musica italiana in generale non va affatto criticata. Prima di tutto perché abbiamo la musica classica, che è un po' come l'arte di Raffaello e Michelangelo. Mentre la musica pop italiana è stata la colonna sonora della società in cui viene scritta e ascoltata".
E com'è cambiata, nei decenni, secondo lei?
"Ricordo gli anni Sessanta... Era tutto bello, per tutti, per noi giovani. Si pagavano la metà delle tasse che si pagano ora. Si ballava con Mina e Peppino Di Capri. Poi sono arrivati i Settanta. La violenza, la guerra in Vietnam, le targhe alterne... I cantanti divennero cantanti sociali, cantavano il malcontento e la rabbia. Le canzoni rispecchiavano quel clima. Poi sono arrivati gli anni Ottanta: gli anni della disco, e della trasgressione...".
E oggi?
"Oggi sono i computer che governano il mondo delle incisioni musicali, dal vivo si fa sempre meno. È tutto un po' robotico, insomma, secondo me. Ma i cantanti di oggi sono anche bravi, e con questi plug-in sono anche sempre intonati".

La rabbia dei giovani è rimasta, anche se oggi è tutt'altra cosa. Ed è tornata anche la guerra, a pochi chilometri da casa.
"Dirò una banalità, ma abbiamo così poco tempo da vivere: come possiamo fare la guerra, in questa briciola del tempo che abbiamo a disposizione? È una stupidaggine, la guerra".
Che musica ascolta Bobby Solo, oggi?
"Io sono il nonno, come abbiamo detto. Resto ancorato al blues, al jazz, al soul, al rock and roll, al rockabilly, al country... Oggi ascolto soprattutto Frank Sinatra, Bruce Springsteen, Bob Dylan, Buddy Holly, Johnny Cash, Elvis...".
Niente rap. Che invece va per la maggiore, anche a Sanremo
"Il rap non mi dispiace, in realtà. Solo che dovrei prendermi dodici flaconi di fosforo per ricordarmi tutte quelle parole (ride). No, no... per me, la musica si è fermata al 1972".
Sono stati due anni pesanti per gli artisti, quelli del Covid. Come ha vissuto la pandemia?
"Con grande ansia, come tutti. Durante il lockdown non andavo a letto fino alle 4 del mattino e non mi alzavo fino a mezzogiorno. Da voi a Bergamo, poi, il Covid-19 è stato spaventoso, massacrante. Ora la speranza è che le cose siano migliorate: il virus è un esserino insidioso, ma cerca di vivere, non di uccidere. Io l'ho preso un mese fa: sono stato male, febbre alta, malessere. Ringrazio Dio di esserne uscito".
Lei è molto credente...
"Molto, sì. E racconto spesso un piccolo miracolo che mi è capitato. Era il 1978, ebbi un'emorragia alle corde vocali. I medici dicevano che non avrei più potuto cantare come prima, perché la corda si era come spezzata. Andai a Lourdes. Bevvi l'acqua della fonte benedetta, diedi duecento franchi in beneficenza, e poi tornai. In un mese cominciai di nuovo a parlare. Piano piano, potei tornare a cantare".
Come si arriva alla sua età con tanta verve?
"Non è sempre stato così. Nella vita ho avuto anche a che fare con la depressione, anni fa. Sono stato male. Ma sono riuscito ad uscirne e a capire che la vita va presa con ottimismo, sempre".