L'intervista

La lotta di due mamme di Caravaggio: "E' mio figlio, perché devo adottarlo?"

Il Governo contro il riconoscimento delle famiglie omogenitoriali e intanto oltre 150mila bambini rischiano di perdere i loro diritti

La lotta di due mamme di Caravaggio: "E' mio figlio, perché devo adottarlo?"
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Stop alle registrazioni dei figli di coppie omogenitoriali. E' quanto deciso dal Governo Meloni a inizio anno: le conseguenze sono già evidenti. A Bergamo e Padova sono già moltissimi i genitori che sono stati cancellati dai documenti anagrafici dei loro figli. Un passo indietro enorme che spinge, però, le tante famiglie arcobaleno a lottare ancora più strenuamente. Tra le loro storie vi raccontiamo quella di due mamme di Caravaggio.

La lotta delle famiglie arcobaleno

E’ l’amore che crea una famiglia. Una frase che, vista così, sembra quasi banale e scontata, ma non per tutti. Ci sono persone, in Italia, che lottano ogni giorno per veder riconosciuti i diritti dei propri figli e di loro stessi come genitori. Una frase che l’Associazione Famiglie Arcobaleno, ha preso come motto della propria battaglia e che oggi, più che mai, cerca di far sentire la propria voce. E’ la voce delle tante coppie omosessuali che hanno realizzato, con fatica e coraggio, il sogno di diventare genitori, di costruire una famiglia e che si sono scontrati poi con un sistema legislativo che non riesce e non vuole cambiare.

In Italia 150mila bambini senza diritti

In Italia sono più di 150mila i bambini nati in famiglie omogenitoriali: una realtà che chiede di essere ascoltata e riconosciuta, come avviene in gran parte dell’Europa e in America (sia al nord che al sud). Dall’inizio dell’anno, invece, di passi ne sono stati fatti ma solo indietro. Il Governo Meloni, infatti, ha richiesto l’intervento della Procura per intimare ai sindaci lo stop alle registrazioni dei certificati anagrafici dei figli di coppie omogenitoriali, pena il loro annullamento. Il rischio, ben concreto (ed è già accaduto a Bergamo, Padova e Milano) è che da un giorno all’altro vengano cancellati dagli atti anagrafici di tanti bambini i nomi dei loro genitori "non biologici", quelli che il legislatore chiama madri e padri «intenzionali». E con i loro nomi anche i loro diritti. Per questo l’Associazione Famiglie Arcobaleno ha lanciato la raccolta firme e la campagna "DisObbediamo" per chiedere ai sindaci di trasgredire all’ordine calato dal Governo e continuare a registrare i figli delle coppie omogenitoriali. D’altra parte ce lo chiede anche l’Europa.

La storia di due mamme

Succede che un giorno si incontra una persona, ci si innamora, magari si convive per un po’ prima di mettere "nero su bianco" il proprio legame e l’impegno reciproco e poi, per molti, arriva il giorno in cui si sente la voglia e il bisogno di far crescere la propria famiglia. Un figlio. Una persona a cui dedicarsi anima e corpo, da accompagnare nella crescita e sostenere, ma soprattutto da amare. Una visione un po’ romantica, forse, ma se ci pensiamo bene cosa c’è d’altro alla base di una famiglia se non l’amore? E questo è quello che è successo anche una coppia di donne di Caravaggio, che qui chiameremo Nadia e Veronica e che abbiamo incontrato per dar voce alla loro esperienza.

Un amore, il loro, nato 16 anni fa. Nadia, commerciante 43enne e Veronica, impiegata di 36 si conoscono nel 2007 e dopo dieci anni di convivenza, nel 2017 decidono di fare il passo dell’Unione civile.

"Come tante coppie, ad un certo punto, abbiamo sentito la necessità di ufficializzare la nostra relazione – hanno raccontato – anche se, bisogna dirlo, l’Unione civile non è paragonabile al matrimonio. E’ quella che nel nostro ambiente (quello Lgbt, che si batte per i diritti delle coppie omosessuali) viene definita un “contentino”".

La grande contraddizione

L’Italia, purtroppo non stupisce, si conferma ancora il Paese delle grandi contraddizioni. E le prime sono evidenti già con l’introduzione dell’Unione civile avvenuta nel 2016 che a differenza del matrimonio civile non dà obbligo di fedeltà e non prevede la creazione di una famiglia, nemmeno con la procreazione assistita, ma si pone l'unico obiettivo di sistemare queste relazioni dal punto di vista patrimoniale. Ma – e qui sta la contraddizione – non permette l’adozione. Queste coppie, in gran parte omosessuali ma non solo, non hanno alcuna possibilità di adottare bambini qualora volessero allargare la propria famiglia.

La madre intenzionale

"Prima di iniziare il percorso che ci ha portato ad avere nostro figlio ci abbiamo riflettuto molto, come fa o dovrebbe fare qualsiasi coppia – hanno raccontato – Per noi, che siamo donne, la strada è quella della fecondazione assistita che, per le coppie omosessuali è praticabile solo all’estero. Abbiamo scelto una clinica privata di Barcellona attingendo alla banca del seme di Copenaghen per la donazione. Ricordiamoci, poi, che questi donatori sono del tutto consapevoli che il loro seme possa essere donato anche a coppie omosessuali e quindi scelgono di donare in assoluta libertà".

Il percorso non è semplice, tra visite, farmaci ormonali e tentativi di fecondazione e, sicuramente non economico. Quando ne parlano nei loro occhi si può vedere quella luce che solo i genitori hanno: una luce di amore incondizionato. A portare in grembo il piccolo è stata Veronica, che lo ha poi partorito in Italia. Riccardo (nome di fantasia) è nato a luglio. Oggi ha nove mesi e anche a lui brillano gli occhi quando gioca con le sue mamme ricambiando le loro attenzioni con versetti e sorrisi sdentati.

"Nadia è stata accanto a me a ogni passo, dalla decisione di avere un figlio alla preparazione alla fecondazione, dalle ecografie fino al parto – ha sottolineato Veronica – Il bambino non condividerà il suo patrimonio genetico, ma come si può dire che lei non sia sua madre, tanto quanto me? O peggio ancora: che differenza c’è tra la nostra famiglia e una coppia eterosessuale che ricorre per necessità alla fecondazione assistita? Il bambino che nascerà non avrà il patrimonio genetico del padre, ma nessuno metterà in discussione la sua paternità".

Perché devo adottare mio figlio?

"Io ho voluto mio figlio in ogni momento e mi sembra assurdo che un sistema retrogrado mi obblighi ad adottare quello che è già mio figlio etichettandomi come “madre intenzionale” e costringendo la nostra famiglia ad affrontare un percorso lungo e costoso".

Sì, perché al momento in Italia l’unica strada percorribile dalle coppie dello stesso sesso che intendono riconoscere i figli biologici dei propri compagni, è la cosiddetta stepchild adoption, letteralmente l’adozione del figliastro, ovvero la possibilità per il genitore non biologico di adottare il figlio del partner.

"E’ un percorso lungo e costoso e che comunque non può iniziare finché il bambino non ha un minimo di discernimento – ha spiegato Nadia – Ciò significa vivere anni senza che il bambino e il genitore abbiamo pieni diritti. Non si tratta solo di poter decidere per lui, penso alla scuola o all’aspetto sanitario, ma se disgraziatamente Veronica venisse a mancare io per Riccardo non sarei nessuno. Io che sono stata accanto a lui ogni giorno della sua vita. O se capitasse qualcosa a me lui non potrebbe ereditare nulla: è giusto?"

L’iter della stepchild adoption inoltre prevede visite frequenti degli assistenti sociali con un impatto psicologico su tutta la famiglia non indifferente.

"Siamo famiglie, come tutte le altre, lavoriamo, litighiamo, ci sosteniamo. Quello che chiediamo è che venga garantito il riconoscimento alla nascita, più giusto, più veloce e più economico perché noi siamo già genitori dei nostri figli - hanno concluso - e snellire il processo per le adozioni che ancora oggi risulta lungo e complicato per le coppie etero e negato alle coppie omosessuali e ai single".

Leggi l'intervista completa sul Giornale di Treviglio in edicola.

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