Urgnano

"Medici viaggiate e non smettete di imparare: Edo è vivo grazie a questo"

L'appello del dottor Luciano Minelli a 18 anni dall'intervento negli Usa a cui venne sottoposto Edoardo Borleri, che aveva meno di un anno

"Medici viaggiate e non smettete di imparare: Edo è vivo grazie a questo"
Pubblicato:
Aggiornato:
 “Medici viaggiate e aprite la mente al mondo, non perdete la voglia di imparare”. Un appello lanciato con forza dal dottor Luciano Minelli del reparto di chirurgia pediatrica dell’ospedale di Bergamo, oggi in pensione, e della famiglia di Edoardo Borleri, un bel ragazzo di 18 anni di Urgnano che, grazie a lui, non solo è vivo ma  conduce una vita normale.
Edoardo Borleri

Il messaggio di un medico appassionato

Un messaggio, quello del dottor Minelli, molto sentito, che si trasforma quasi in un grido d’allarme perché, dopo quasi due decenni dalla vicenda che ha visto protagonista il giovane nato con un tumore al collo che avrebbe potuto condurlo alla morte, in Italia non sono stati fatti grandi passi avanti, anzi: il medico non vede nei giovani chirurghi il "sacro fuoco" che lo animava, spingendolo non solo a dimenticare l’orologio ma a varcare i confini nazionali alla volta degli Usa per apprendere nuove tecniche e acquisire un bagaglio di esperienza che va al di là di quello che si può fare grazie alla moderna robotica. "Sono sempre le mani che contano" ha sorriso durante la conferenza stampa che ha convocato nel pomeriggio di sabato 7 dicembre al centro sportivo del paese, con Edoardo e tutta la sua famiglia presenti.

La storia a lieto fine di Edoardo Borleri

Era il 22 agosto del 2006 quando mamma Elisabetta Ferraro diede alla luce un bimbo bellissimo ma affetto da un fibroma cistico gigante del collo, una tumore raro (oggi, a detta del dottor Minelli, al nosocomio bergamasco si presenta un caso ogni due o tre anni) ben evidente all’esterno per via della massa, che tuttavia era solo la punta dell’iceberg, infatti all’interno avvolgeva carotide, trachea e nervi. Una gravissima malformazione di origine vascolare e linfatica di cui non si conosce ancora la causa. I ginecologi degli allora Ospedali Riuniti di Bergamo non andarono al di là della prescrizione della Pasta Fissan, chiamando in causa la chirurgia pediatrica e così ci fu l’incontro con il dottor Minelli, il quale indicò l’unica via percorribile alla famiglia Borleri: quella di attivarsi per raccogliere fondi e portare il figlioletto al Children’s hospital di Seattle, dove operava l’équipe del professor Joseph Gruss, un chirurgo pediatrico maxillofacciale, che aveva alle spalle una casistica molto interessante e prometteva di poter risolvere alla radice il problema. In Italia infatti, il medico trovò le porte chiuse.

"Io mi ero preso a cuore il caso e, consultando la letteratura americana, scoprii il dottor Gruss - ha ricordato il dottore - mandai foto e documentazione e dopo un mese arrivò la risposta che l'intervento si poteva fare. Contattai subito l’allora Ussl di Bergamo e poi quella di Dalmine, parlandogli della possibilità di far operare da lui il bimbo, ma nulla. Non era ben visto chi proponeva la cura all’estero, tuttavia in Italia si facevano grossi disastri... Io ero deciso a partire con la famiglia, anche per imparare, e la Direzione dell’ospedale non la prese bene, appariva quasi come un disonore, mi mise i bastoni tra le ruote e rischiai il licenziamento. L’intervento negli Usa fu scaricato sulla famiglia, invece dovrebbero essere proprio le strutture sanitarie a spingere per la partenza di fronte a casi particolari… Io ho sempre seguito l’insegnamento del dottor Lucio Parenzan, fino al 1994 direttore della Divisione di Chirurgia pediatrica e di Cardiochirurgia del nosocomio bergamasco, mancato nel 2014: ho iniziato con lui, che nel 1966 fondò il reparto di Chirurgia pediatrica. Invitava noi giovani medici a viaggiare, a imparare dai migliori e a riportare in Italia il bagaglio acquisito. Mai chiudersi. Lui poi prese in mano il ramo della cardiochirurgia e nel 1978 nacque la Chirurgia pediatrica dove invece lavoravamo noi. Se il nostro ospedale in questi ambiti è un’eccellenza lo si deve a lui che non solo andava negli Usa ma portava gli americani ad operare a Bergamo".

Affrontare il viaggio e il costo per l'intervento però non è stata cosa da poco per la famiglia, la cifra necessaria era improponibile.

"Andammo ovunque, anche sui giornali e in televisione per cercare di racimolare i 200mila euro necessari per far operare Edo – hanno spiegato mamma Elisabetta, commossa, e la sorella Giusy che, parlando inglese, seguì il viaggio della speranza del nipote - A far partire la gara di solidarietà fu suor Maria Rosa Colombo: la sorellina di Edoardo, Eleonora, frequentava la scuola materna paritaria del paese e le chiesi di pregare per Edo... Lei cominciò ad attivarsi e così fece la nostra famiglia, nacque un’associazione: l’aiuto arrivò da tutta la provincia e anche da fuori, dalla Curva nord dell’Atalanta e da un anonimo benefattore che donò buona parte della cifra. Una solidarietà meravigliosa, ringraziamo ancora tutti coloro che ci hanno sostenuto".

Il chirurgo sottopose Edoardo a visite ed accertamenti per due giorni poi, il 29 maggio 2007 il via libera.

"Dopo ben nove ore di intervento, a cui ho avuto l’enorme fortuna di assistere, la massa tumorale venne completamente rimossa con un lavoro certosino e così gran parte del surplus di cute – ha raccontato ancora il medico – Non tutta però, una parte doveva servire per la cicatrizzazione della ferita durante la crescita. Il dottor Gruss faceva miracoli e conservava l’aspetto estetico: non c’è stato bisogno di nessun intervento successivo. Ricordo che sgranavo gli occhi di fronte alla sua abilità. Il decorso post operatorio fu tranquillo e oggi Edoardo sul collo ha una cicatrice quasi invisibile".

Edoardo Borleri

Ancora oggi gli Usa restano la terra della speranza

Oggi esiste la diagnosi prenatale e già dal quarto mese di gravidanza si può intravvedere la presenza del tumore che aggredì Edoardo.

"Si vede tuttavia non si può fare niente se non preparare almeno la famiglia - ha fatto presente il dottor Minelli - qualche genitore sceglie di abortire, spaventato. Purtroppo ci sono molti chirurghi che ancora pasticciano, praticando più interventi che complicano il quadro clinico, per via del rischio di recidiva - il tumore infatti ricresce - e lasciano cicatrici. L’unica soluzione è un intervento radicale e, così come quando è nato Edoardo, oggi è necessario partire alla volta degli Stati uniti d’America per risolvere il problema. E’ fondamentale aggiornarsi e stare agganciati agli Usa, che fanno ancora da traino, bisogna avere sempre la voglia di fare e non temere i sacrifici – ha insistito il chirurgo - I risultati poi arrivano. Purtroppo la Sanità ha i suoi problemi, è vero, ma non vedo più questo entusiasmo negli assistenti, sono troppo affascinati dai robot e stanno sempre lì dietro a uno schermo".

Poi ha messo il dito in quella che è un po’ una piaga, e non solo nella medicina.

"Negli Stati Uniti hanno capito che per malattie rare come quella di Edoardo è bene che i medici capaci si concentrino in due poli, uno dei quali è appunto quello di Seattle - ha rivelato Minelli - lì sono obbligati a trasmettere agli allievi le loro competenze, altrimenti gli ospedali poi perderebbero la loro attrattiva. In Italia invece si tende a tenere il proprio sapere per sé, ad esserne gelosi, a coltivare il proprio orticello. Altra follia è mandare in pensione i medici che vorrebbero continuare a dare il loro apporto di esperienza".

Edo oggi: "Forse andrò a vivere in America"

"Ho avuto davvero tanta fortuna, non ho particolari ricordi di questa mia vicenda perché ho sempre vissuto bene - ha sorriso il giovanotto che studia informatica all’”Archimede” di Treviglio e non ha più bisogno di sottoporsi a controlli – Il dottor Minelli mi ha indirizzato al nuoto, per mantenere la mobilità del braccio, e l’ho praticato anche a livello agonistico ma poi con il Covid ho smesso. Ora faccio palestra quattro volte alla settimana e, visto quello che mi è capitato, riuscire a sollevare i pesi alti che sollevo è un miracolo. Negli Usa vorrei andarci, magari viverci, perché lo vedo come un Paese che può dare tanto, del resto è grazie a lui se sono qui... non so se lo farò però, perché sono molto legato alla mia famiglia".

"Il dottor Minelli è rimasto un amico di famiglia - ha chiosato la mamma - lui è l’angelo di Edo”.

Edoardo Borleri

Commenti
Lascia il tuo pensiero

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Seguici sui nostri canali