"Filandone monumento di archeologia industriale"
Durante la conferenza sul recupero della struttura, il sindaco ha annunciato di essersi attivato per ottenere il riconoscimento
"L’Amministrazione comunale si è già attivata con gli enti preposti affinché il Filandone di Martinengo ottenga il riconoscimento nazionale di monumento di archeologia industriale". A dare la bella notizia è stato il sindaco Pasquale Busetti martedì al termine di una conferenza nella sala consiliare che ha ricostruito il recupero architettonico dell’edificio, vero e proprio gioiello di architettura gotica.
Il recupero del Filandone: non solo architettura
Alla serata, intitolata "Il Filandone cattedrale laica consacrata al lavoro", erano presenti anche il vicesindaco Fabrizio Plebani, l’assessore all’Istruzione Ilario Barchiesi e il capogruppo Sauro Olivari. Un approfondimento sulla storia di quello che senza dubbio è un simbolo cittadino che avrebbe meritato più pubblico. In veste di moderatore c’era Diego Moratti, vicepresidente della Pro loco e direttore di "InfoSostenibile", mentre l’architetto Domenico Egizi ha illustrato le caratteristiche del recupero che lui stesso ha progettato nel 1999. Dopo una breve introduzione della responsabile della biblioteca Emanuela Zappalalio, che ha ricordato come l’appuntamento rappresentasse la conclusione di un ciclo di conferenze denominato "Il Filandone da polo industriale a polo culturale - Intrecci di storie e lavoro", iniziato a marzo, e di Moratti, che ne ha riassunto le tematiche, la parola è passata all’architetto, che ha stupito un po’ tutti cominciando il suo intervento facendo ascoltare in sala il canto di una nota "filandera" di Cologno, Palma Facchetti, una registrazione da brividi, fatta da sé quando aveva una certa età, che insieme a tante altre sono state raccolte da Maria Vailati, figlia di Ambrogio Vailati, uno dei tanti direttori del Filandone, tra i più illuminati, che introdusse riforme spicciole ma importanti per il tempo. Raccolta confluita in "La filanda nei documenti del “Fondo Ambrogio Vailati". Un tuffo in un mondo che non c’è più, fatto di sacrifici, patimenti e di canzoni, unico modo per le operaie di relazionarsi durante le ore di duro lavoro perché era proibito parlare.
"Ho voluto partire da questo brano per entrare nello spirito di questo luogo - ha esordito il tecnico - ci fa capire cos’è stata la fatica dentro le filande, ce n’era una a Ghisalba, a Cologno e in altri Comuni della zona che però non possono vantare un edificio della bellezza del Filandone. Vi entravano ragazze di ceto sociale basso, che arrivavano a piedi, con gli zoccoli nella neve, dai Comuni limitrofi e rimanevano fuori per ad aspettare fino all’apertura per poi affrontare un lavoro massacrante, difficile, e avevano a che fare con un patronato molto chiuso. I canti erano tutt’altro che bonari: prendevano in giro la Chiesa, il padrone, gli effeminati, parlavano di situazioni di vita vissuta. Il canto popolare è stato uno degli elementi più importanti della cultura del secolo scorso e anche di questo. Dal canto popolare sono nate le rivoluzioni. Costituisce memoria di valore ed è parte integrante della conservazione di un monumento come il Filandone, che ha un’anima che non va dimenticata".
Lo stile gotico ed edifici similari
Egizi ha descritto i punti di forza del recupero.
"È un mistero chi ha progettato il Filandone nel 1850 - ha spiegato l’architetto - è una cattedrale gotica, che incredibilmente non è inserita nella guida 'Archeologia industriale della Lombardia'. Probabilmente il tecnico e il proprietario hanno riportato qui una tipologia di luoghi di lavoro incontrata all’estero, nel nord Europa, o anche a Venezia, dove è presente un ex mulino oggi hotel a cui potrebbero essersi ispirati. Allora ai luoghi del lavoro, a differenza di oggi che sono prefabbricati, si dava molta importanza e l’edificio veniva curato in tutta la sua estensione. Non molto distante oggi abbiamo il villaggio di Crespi d’Adda, patrimonio dell’Unesco, e far sapere che c’è anche il Filandone, che ha una maestosità eccezionale, non sarebbe male...".
La copertura
"Innanzitutto abbiamo recuperato la copertura - ha spiegato l'architetto - La situazione era disastrosa, da anni pioveva dentro l’edificio: La Soprintendenza alle Belle Arti aveva autorizzato la possibilità di togliere il ben di Dio che avete sopra le vostre teste e di metterne di simili ma non ho voluto: così con l’ingegner Sandro Pisoni abbiamo alleggerito la copertura eliminando un tavolato in legno, la controsoffittatura che manteneva il calore. Di fatto vediamo la carena di una nave di una bellezza incredibile: questo è un tetto preziosissimo, rarissimo esempio di capriata all’inglese perché ha la doppia tirantatura orizzontale. I pannelli fonoassorbenti appesi coprono solo in parte le travi a vista".
I serramenti
"Se avessimo tolto i serramenti originali qualsiasi cosa avremmo fatto per sostituirli sarebbe stata una porcheria - ha detto senza giri di parole Egizi - sono l’essenza del Filandone quindi li abbiamo salvati. Per cercare di rispondere al problema della coibentazione, in biblioteca che ha un carico di utenza forte, ci siamo inventati la teca, che prevede il mantenimento integrale dell’esterno ma crea una camera d’aria, un controserramento che diventa scaffale per i libri".
L’uscita di sicurezza
"Negli edifici di oggi è prevista l’uscita di sicurezza e in questa sala, che può contenere fino a 150 persone, era necessaria. Potevamo acquistare quelle in metallo zincato e piazzarla lì, invece ho fatto uno studio che trasforma la scala in una scultura in metallo che si affianca ad alcune presenze che ci sono nella facciata: quattro putrelle che sorreggevano una tettoia realizzata ai primi del ‘900 e poi eliminata, e un argano. La scala quindi l’abbiamo fatta in acciaio con putrelle cosiddetto arrugginito Corten, che si integra nella struttura".
Com’era e come poteva essere
Il Filandone poteva essere grande il doppio di quello che vediamo oggi, se non fosse stato per la crisi che ha investito il settore tessile con la comparsa di nuovi telai in Oriente.
"L’espansione era prevista sul retro - ha rivelato l’architetto Domenico Egizi - il centro era l’area dove c’è la scala e la facciata laterale non finita aveva già le chiamate murarie per poter realizzare la seconda parte. Se l’avessero completato sarebbe stata una rarità e sarebbe bello poter mostrare questo progetto ai visitatori".
Quello che è rimasto è meraviglioso, ma si sono perse la ciminiera e la cisterna dell’acqua.
"Negli anni ‘60 del secolo scorso un fulmine l’ha danneggiata e poi è stata abbattuta" ha spiegato ancora il tecnico. In chiusura di serata c’è stato spazio anche per le domande del pubblico, e un cittadino ha fatto riferimento alle attrezzature presenti.
"Negli anni ‘80 ho assistito direttamente alla demolizione della grande cisterna che era presente nell’edificio, insistevo chiedendo di fermare i lavori ma mi sono trovato di fronte un tecnico dalla sensibilità equina. Uno sventramento davvero vergognoso".
"Non ne ero a conoscenza - ha replicato - replicato l’architetto - quando abbiamo cominciato il recupero l’edificio era in condizioni pessime ma abbiamo salvato integralmente la fornace in mattoni per scaldare l’acqua e diversi elementi dell’impianto, nonché la scala originale all’ingresso".
Suoni dal passato e luci sulla facciata
Sin qui il passato ma per il futuro si può fare ancora qualcosa per valorizzare il Filandone? Secondo l’architetto Domenico Egizi sì.
"In omaggio a quanto abbiamo sentito prima, il canto della filandera e, soprattutto, in collaborazione con degli amici che sono in sala stasera, gli amici Roberto Brignoli e Matteo Arancio, abbiamo pensato di fare in modo che il Filandone possa avere un suo “suono”: vale a dire che i visitatori, al loro ingresso, potrebbero ascoltare delle musiche particolari legate a quello che è stato l’ambiente, visto che questo edificio come detto non è solo architettura e riuso ma anche storia, soprattutto storia sociale. Mai dimenticare le origini di un luogo, perché le generazioni future devono sapere che il monumento è bellezza ma anche contenuto".
Quindi ha lanciato una provocazione.
"Con Brignoli e Arancio abbiamo fatto una ricerca nella biblioteca 'Tiraboschi' sul 'Fondo Ambrogio Vailati' che ha materiali sonori, fotografici e cartacei unici - ha raccontato - Perché non portarlo qui? Vailati è stato cittadino di Martinengo legatissimo alla città e la figlia, autrice di questa raccolta, ha vissuto qui tutta la sua gioventù. L’idea è quindi avviare un progetto di sonorizzazione attraverso la tecnologia, che proponga un mix di canti, documentazioni sonore, interviste alle filandere".
Poi l’architetto si è concentrato sull’illuminazione.
"Con le due facciate uniche che ha, il Filandone sarebbe una splendida lavagna per creare delle suggestioni di carattere illuminotecnico - ha osservato - Sarebbe importante avere un’illuminazione esterna fissa di un certo tipo, da studiare, e poi avere la possibilità di montare installazioni artistiche ad hoc. Così anche la sera i visitatori potrebbero vedere il monumento in altro modo".
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