Intervista

Camer, lo «chef» degli chef bergamaschi ora punta su un ristorante a Treviglio

Il presidente dei Cuochi bergamaschi: «Un nuovo locale a Treviglio con apertura in autunno

Camer, lo «chef» degli chef bergamaschi ora punta su un ristorante  a Treviglio
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A tu per tu con lo chef Fabrizio Camer, classe 1971. Originario della Valtellina ma volto noto del territorio bergamasco essendo presidente dell’Associazione Cuochi Bergamo, in questi giorni Camer è stato citato dalla rivista «L’Arte in cucina» tra i sei chef autori dei «Piatti dell’estate 2024». Un traguardo tra tanti, figlio di una passione per la cucina cominciata sui banchi di scuola e maturata in oltre quarant’anni di attività, in Italia e in Europa. Dal 2003 Camer gestisce «Sassella food and events» un gruppo di ristorazione con base a Casirate d’Adda.

Partiamo da Bergamo. Qual è lo scopo della vostra associazione?

«Ha come scopo la formazione e la crescita professionale dei ragazzi (facciamo tanto per i giovani) e la valorizzazione del prodotto locale oltre che la partecipazione ad alcune serate benefiche. Questa è la nostra mission: far crescere la gastronomia e la cultura del nostro territorio, senza avere piatti specifici caratteristici».

 Cos’è per lei la cultura gastronomica?

«Va intesa come utilizzare al meglio le risorse del territorio, però anche con un pizzico di freschezza. Ogni anno, per esempio, organizziamo un concorso a San Pellegrino Terme sul tema della selvaggina. In quest’ottica possiamo parlare di cultura del territorio».

Cosa ne pensa della parola «chef»?

«In cucina bisogna avere molto rispetto, un religioso rispetto e la parola «chef» va usata con molta attenzione. C’è una mancanza di personale nel mondo della ristorazione perché è calata da tempo l’idea del «sacrificio» legata al nostro lavoro, e quindi sta a noi dare un motivo valido ai giovani per continuare un lavoro che richiede molto impegno. Bisogna proprio cambiare il pensiero e la dinamica della ristorazione oltre che detassare. Il settore è in crisi perché lo stipendio non è adeguato ai tempi moderni. La passione purtroppo non è sufficiente e la ristorazione va cambiata strutturalmente, anche perché l’indotto dell’ospitalità è il primo punto del Pil italiano». Ultimamente su alcuni piatti dei territori nascono delle diatribe tra tradizionalisti e innovatori.

E lei da che parte sta?

«Io, ad esempio, sono un purista del pizzocchero. I classici vanno rispettati. Se si decide di fare una rivisitazione, si può fare, certo, ma non deve avere la pretesa di sostituire il classico. Si può rivisitare un piatto con strumenti moderni e chi si scandalizza sbaglia, anche perché non sempre i piatti hanno delle radici così profonde. Un classico rimane comunque un classico. Non sono contrario alle rivisitazioni, purché si rispetti il nome del piatto».

Progetti futuri?

«Un nuovo locale a Treviglio con apertura in autunno. Ma in questi mesi stiamo lavorando molto anche con il nostro laboratorio di trasformazione, in cui utilizziamo i prodotti dei piccoli agricoltori per produrre confetture, composte, giardiniere, salse di pomodoro, gastronomia italiana e sali aromatici».

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